La diplomazia può conoscere vie infinite. La storia insegna che situazioni di conflitto complicatissime si sono poi risolte grazie anche ad argomenti impensabili. Il primo disgelo Usa-Cina, e parliamo degli anni settanta, avvenne intorno ad un tavolo da ping pong. E se il primo disgelo tra Russia, Ucraina e resto avvenisse grazie al grano? O meglio grazie ai milioni di tonnellate di grano ferme nei silos ucraini e nei porti di Odessa?

Ha colpito che uno degli tanti issue che Draghi ha messo sul tavolino dello Studio ovale dove lo ha ricevuto Joe Biden, sia stato quello del grano. O meglio: “Dobbiamo chiedere alla Russia di sbloccare il grano bloccato nei porti ucraini”, ha detto Draghi. E Biden pensieroso annuiva: “Ci sono milioni di tonnellate. Rischiamo una crisi in Africa”. E’ esattamente in questo passaggio che va colto il cambio di passo della diplomazia nel conflitto Russia-Ucraina. Il motivo è presto detto: le tonnellate di grano ferme nei porti ucraini oltre a far schizzare i prezzi delle materie prime in tutta Europa, fanno mancare il cibo in molte zone dell’Africa dove già ci sono problemi di carestie. Il punto è che Cina e Russia hanno molti più interessi e investimenti in Africa di quello che possiamo immaginare. E una crisi umanitaria in quel paese sarebbe deleteria per i loro affari. Diamo per scontata, ovviamente, che ci sia anche una umana pietà.

Il cessate il fuoco è sempre stata la richiesta di tutti i leader europei che hanno parlato con Putin, ore e ore di telefonate, solo Macron ne ha fatte più di trenta. L’ultima volta che Putin ha sentito Draghi, lo zar chiamava per il pagamento del gas in rubli, il premier gli chiedeva “almeno il cessate il fuoco in alcune zone”. Si è parlato di pace, cessate il fuoco, tavoli e conferenze di pace. Ma a parte un paio di tavoli organizzati in Turchia e in Bielorussia, è sempre mancato il motivo per cui Putin e Zelensky dovrebbero accettare di parlarsi. Una settimana fa il bollettino del World food program (Wfp) dell’Onu ha lanciato l’allarme «per evitare che la crisi globale della fame sfugga al controllo». Secondo la stessa agenzia, agli attuali 276 milioni di persone che nel mondo, dopo la pandemia, soffrono la fame (prima del Covid erano 135 milioni) rischiano di aggiungersene altri 47 milioni. «I silos di grano dell’Ucraina sono pieni. I porti sul Mar Nero sono bloccati, lasciando milioni di tonnellate di grano intrappolate in magazzini a terra o su navi che non possono muoversi».

L’export di frumento tenero russo e ucraino va soprattutto verso il Nord Africa e il Medio Oriente. Dipendono dalle importazioni ucraine Paesi che hanno già problemi di tutti i tipi: Egitto, Indonesia, Bangladesh, Turchia, Tunisia, Marocco, Yemen e Libano. L’Ucraina, inoltre, pesa per il 15% nelle esportazioni globali di mais, usato soprattutto nei mangimi animali. Quello del grano è insomma un tema centrale – oltre l’inflazione, l’interesse dell’Europa è evitare ondate migratorie – ma anche equidistante da tutti i paesi coinvolti. E Mosca probabilmente non ha avuto tempo in questi mesi di pensare che bloccando il grano avrebbe fatto un danno anche a se stessa. E alla cara amica Cina dove il Covid sta tenendo bloccato anche il porto di Shangai.

La diplomazia del grano, quindi. Per provare a risolvere un conflitto tremendo che Draghi non ha esitato a definire “una macelleria” (butchery) nel colloquio con Biden.
E’ un’idea, qualcosa su cui “provare a costruire la pace” ha detto il premier nei colloqui ufficiali alla Casa Bianca e al Capitol Hill. Il motivo, l’occasione in cui Mosca e Kiev possono ricominciare a parlarsi. Tutto questo, se dovesse concretizzarsi qualcosa, continuerebbe ovviamente ad andare di pari passo con gli aiuti bellici che continuano ad essere garantiti perchè armare Kiev serve a scongiurare la vittoria di Mosca. E se “Putin non è più Golia” e “Zelensky non più Davide” questo senza dubbio è grazie agli Stati Uniti – che hanno stanziato 53 miliardi per l’Ucraina, tra armi e aiuti umanitari – all’Europa e alla Nato.

Il governo italiano si appresta a firmare il terzo decreto interministeriale per un nuovo invio di armi a Kiev. Probabilmente già lunedì. Diciamo subito che si tratta di un decreto previsto e che non implica alcun salto di qualità nella tipologia di sistemi d’arma inviati a Kiev. Motivo per cui sarebbe necessaria una nuova discussione in Parlamento con relativo voto. Nella lista, questa volta, dovrebbero essere previsti carri Lince e droni. A dispetto degli altolà sempre barocchi di Conte e Salvini, il governo tira dritto. Perchè, come ha detto Draghi mercoledì al congresso Usa, “il sostegno militare all’Ucraina è una decisione che ha ricevuto un ampio sostegno nel nostro Parlamento”. Draghi ha confermato la sua presenza al question time di giovedì prossimo (19 maggio, ore 9) quando risponderà volentieri alle tante obiezioni che Conte e Salvini stanno sollevando. Ma non ci sarà un voto come chiede il leader dei 5 Stelle.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.