Punire la Russia. Ridimensionarla. Destituire Putin. Sono frasi pronunciate ai massimi livelli dall’establishment dei governi degli Stati Uniti e della Gran Bretagna. E dei comandi della Nato. Il vertice di Ramstein si è svolto in tutta la sua spettacolarità attorno a queste idee. E quando si dice che si vuole destituire Putin, evidentemente, non si sta organizzando un intervento militare difensivo ma si stanno gettando le basi e gli obiettivi di una guerra d’attacco. A questa guerra, sembra di capire dalle dichiarazioni ufficiali e dalle indiscrezioni pubblicate dai giornali, l’Italia ha aderito. Dunque l’Italia è in guerra. Al fianco dell’Ucraina, sotto il comando degli ufficiali americani che guidano la Nato, contro la Russia e per rovesciare un capo di uno stato estero.

Naturalmente sulla saggezza o follia di questi atteggiamenti possiamo discutere finché vogliamo. Nel mondo politico italiano la maggioranza ritiene che combattere e armare gli ucraini, e cercare di avere un successo militare, riducendo il numero dei morti ucraini e aumentando il numero dei russi, sia necessario e doveroso perché questo è l’unico modo per bloccare l’invasione e salvare la democrazia occidentale. Cioè pensa che abbia ragione Biden che queste idee ha espresso al funerale di Madeleine Albright. Una minoranza invece la pensa come il papa, cioè si ispira a teorie non violente che considerano la guerra una barbarie in qualunque sua espressione.

Però, accanto a questa discussione, si affacciano altri due problemi. Il primo – posto da parecchi costituzionalisti molto autorevoli – è se questo atteggiamento dell’Italia rispetti o stracci l’articolo 11 della Costituzione, che proibisce al nostro paese di partecipare alle guerre fuori dal suo territorio o dai territori dei paesi Nato. Il secondo, che è un problema gigantesco, è se l’Italia possa entrare in guerra senza un mandato del Parlamento. Questo mandato non c’è.

Il Parlamento – compiendo un atto di violenza alla sua dignità, ai suoi compiti, alla sua storia – ha consegnato al governo una delega in bianco a mandare armi all’Ucraina fino a dicembre. Ma non lo ha autorizzato a partecipare a una guerra offensiva contro la Russia. Né avrebbe potuto. E allora perché la questione – questa gigantesca questione – non viene portata alla discussione del Parlamento? Esiste ancora il Parlamento? Ha ancora un ruolo? Pesa nelle decisioni? O abbiamo stabilito che basta Draghi?

Questo giornale è stato sempre “draghista”. Addirittura eravamo draghisti quando Draghi ancora non c’era. E abbiamo stima e rispetto per il Presidente del Consiglio. Però ora si pone una questione che riguarda il presente e il futuro della nostra democrazia. Che rischia di restare sfregiata in modo profondo. Non si può rispondere solo con la frase fatta: ma se si fa in un altro modo si indebolisce il governo Draghi. Non è una ragione sufficiente per bypassare la Costituzione.

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Giornalista professionista dal 1979, ha lavorato per quasi 30 anni all'Unità di cui è stato vicedirettore e poi condirettore. Direttore di Liberazione dal 2004 al 2009, poi di Calabria Ora dal 2010 al 2013, nel 2016 passa a Il Dubbio per poi approdare alla direzione de Il Riformista tornato in edicola il 29 ottobre 2019.