Mario Draghi avrà pure una sua ritrosia ad andare a discutere in Parlamento di quel che fa il governo. Facciamo che si tratti di una ritrosia legittima. Ma dopo il cambio di passo militare e politico deciso dal Pentagono e comunicato ai Paesi della Nato martedì al vertice di guerra di Ramstein – al quale il ministro Guerini ha partecipato – il Parlamento può non chiedere al presidente del Consiglio di andare a spiegare alle Camere a quale cambio di passo vuole esporre l’Italia? Non può non farlo. Ha il dovere istituzionale di discuterne pubblicamente in Aula.

Non c’entra nulla la risoluzione con cui ha dato il via libera alla cessione di armi a Kiev dicendo al governo “fai tu, riferisci solo segretamente al Copasir, noi non ce ne impicciamo grazie”. Quella risoluzione, qualsiasi natura giuridica le si voglia dare, è superata dalla richiesta – che poi era un ordine – del ministro della difesa americano Lloyd Austin di stare dentro un «gruppo di contatto» formato da 43 Paesi, al comando del quale si mettono gli Stati uniti, allo scopo di «sconfiggere» Vladimir Putin. Testuali parole di Austin: «Le prossime settimane saranno decisive. Ma ora occorre fare presto, non c’è tempo da perdere, dobbiamo muoverci con il ritmo della guerra. Impediremo a Mosca di rimettere in sesto le sue forze armate». Austin aveva già detto: «Dobbiamo indebolire la Russia e impedirle di riacquisire la forza militare necessaria per aggredire altri Paesi». Ancora più chiaro il Capo di Stato maggiore Mark Milley alla Cnn: «È in gioco l’assetto internazionale. Se la Russia non verrà punita, allora entreremo in un’epoca di crescente e preoccupante instabilità».

Nessuno ha dato al ministro Guerini il potere di decidere di farci muovere tutti al ritmo della guerra per punire la Russia o per impedire a Mosca di rimettere in sesto le sue forze armate, La risoluzione votata dal nostro Parlamento a larghissima maggioranza, per derogare alla legge che vieta la cessione di armi a paesi in guerra, è una risoluzione capestro che dà al governo una delega in bianco fino al 31 dicembre per inviare armi in Ucraina. Ma, pur essendo assai vaga e generica, riguarda la deroga alla legge sulla cessione di armi e basta. Non può riguardare anche il coinvolgimento dell’Italia in una nuova fase della guerra. Non chiedeva al governo di «punire la Russia», né di «sconfiggere» Vladimir Putin. Torniamo a martedì. Germania, base americana di Ramstein. Sotto un soffitto basso basso da cui pendono lampadari a luce bianca c’è un lunghissimo tavolone a U. Al centro sta seduto il ministro della difesa americano Lloyd Austin insieme al suo capo di stato maggiore in divisa militare, al ministro della difesa ucraino Oleksiy Reznikov in divisa militare e alla interprete, anche lei in divisa militare. Uno accanto all’altro.

Dietro di loro la bandiera americana a stelle e strisce accanto alla bandiera ucraina. Sui due lati lunghi del tavolo tutti i ministri della Difesa dei Paesi Nato (Regno Unito, Turchia, Canada, Italia, Germania, Francia e altri europei). Dell’elenco dei 43 stilata dal Pentagono fanno parte anche Giappone, Corea del Sud, Australia, Nuova Zelanda, Israele, Giordania e Qatar, Kenya, Liberia, Marocco e Tunisia. Più Svezia e Finlandia ai quali ieri il segretario della Nato ha spalancato idealmente le porte dell’Alleanza al grido: sì, venite, entrate prima possibile, facciamo presto. Quel brutto tavolone di Ramstein è un Consiglio di guerra. I toni, i modi, i costumi di scena sono da gabinetto di guerra. Il ministro della Difesa ucraino fa l’elenco della spesa. Per combattere ci serve questa questa e quest’altra cosa. Si sperticano gli offerenti. Per prima la ministra della Difesa tedesca, Christine Lambrecht, che in apparente testa coda col suo cancelliere Olaf Scholz mette sul tavolo potenti blindati dotati di cannoni anti aereo. Pare che l’industria di Baviera Krauss Maffei Wegmann ne abbia 50 appena sfornati pronti per la spedizione.

Rilancia allora il ministro inglese Ben Wallace, il ministro della guerra di Jhonson: anche noi! Anche noi mandiamo missili anti-aereo. Preciserà poi che Londra da tempo sta dando a Kiev i missili a lungo raggio Brimstone e sta per inviare batterie anti nave. Insegue il canadese: e noi allora otto blindati. Anche Guerini ha fatto la sua bella figura con la lista italiana, ieri in audizione segreta al Copasir ha riferito il dettaglio di cosa manderemo. Siamo quindi come alleati Nato interamente dentro una escalation bellica nella quale gli Stati Uniti, che della Nato hanno il comando di fatto e del neonato gruppo dei 43 pure, nemmeno parlano più di trattative diplomatiche o di canali possibili di negoziato. Una escalation che Biden ha già sintetizzato, ai funerali solenni di Madelaine Albright, come un grande bivio davanti al quale sta il mondo come dopo la caduta del Muro di Berlino: “E’ il momento di decidere da quale parte stare, di qua le democrazie, di là le autocrazie”. Sarà il caso che il Parlamento si riunisca per discuterne?

Due giorni dopo il vertice di guerra di Ramstein, il dibattito politico si è arenato su Di Maio che si inerpica sulla citazione della Carta dell’Onu per poter dire “lasciateci lavorare”, Salvini impegnato nel solito balletto del giorno per giorno che ora batte sul “mica c’è il missile difensivo e quello offensivo”, i Cinque stelle che mandano via dal gruppo il loro senatore Petrocelli ma non sanno come cacciarlo dalla presidenza della commissione esteri del Senato. E un magnifico Conte che dopo aver blaterato per anni che uno vale uno informa che sta studiando come cambiare il Logo 5 stelle mettendoci il suo nome. Impermeabile agli eventi Borghi, irreggimentatissimo nel ruolo di responsabile difesa del Pd, si nasconde dietro sacchi di sabbia: “Nessuno pensi di indebolire il governo, un nuovo passaggio parlamentare non è previsto”.