È difficile prevedere se Emmanuel Macron, forte del risultato del voto, riuscirà, come alcuni invece ritengono, a compattare l’Unione o, almeno, il “nocciolo duro” dell’area, innanzitutto sul ruolo da assumere negli sviluppi dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, che ogni giorno di più presenta orrori e sconvolgimenti mai visti. Non sarà semplice trovare un equilibrio tra accentramento decisionale e valorizzazione del principio di sussidiarietà verticale, riconosciuto pienamente dai Padri fondatori dell’Europa, in virtù del quale ciò che si può fare a livello nazionale non va accentrato.

Più in particolare, per Macron ora si prospetta la necessità di iniziare a dare seguito, mentre si profila il non facile passaggio delle elezioni legislative, agli impegni assunti nei confronti dei francesi nella campagna elettorale per realizzare un quinquennio di una presidenza di svolta, rendendoli compatibili con le iniziative in sede europea, anzi agendo in questa sede per dare sostegno alle politiche nazionali. Ma una risposta ugualmente urgente, e strettamente connessa con la posizione da assumere sulla guerra, riguarda l’economia. Il Fondo monetario internazionale prevede anche la possibilità che Francia, Germania nonché Italia (e pure il Regno unito) possano, nell’anno, trovarsi in recessione: comunque la crescita sarà piatta. Più in particolare, per l’Italia, rivedendo significativamente al ribasso le stime di gennaio, il Fondo prevede un incremento del Pil del 2,3 per cento quest’anno e dell’1,7 nel 2023 (2,8 per cento nel 2022 e 2,3 nel 2023 per l’Eurozona, anche in questo caso con tagli rispetto alle precedenti stime).

Il Governatore della Banca d’Italia, con una dichiarazione integrata da una successiva volta a eliminare incomprensioni suscitate dalla prima, al termine dei lavori del Fondo monetario, ha ritenuto poco probabile una recessione globale, distinguendo gli impatti della guerra, più circoscritti, da quelli della pandemia diffusi a livello mondiale. Pur senza nascondere, per l’Italia, gli effetti significativi del conflitto, Visco ha detto che si possono mantenere i nervi saldi anche per i contraccolpi delle sanzioni, con un’attenzione alle fasce più deboli della popolazione che saranno maggiormente colpite. Dal canto suo, la Confindustria ha formulato anche l’ipotesi di una recessione per un -0,2 per cento del Pil nel primo trimestre e un -0,5 nel secondo. Insomma, al di là delle “ fonti”, le previsioni non sono particolarmente confortanti.

Se a ciò si aggiunge l’andamento dell’inflazione (nell’area oltre il 7 per cento e in Italia oltre il 6), appare sempre più necessario che il Governo, al di là della posizione espressa con il Documento di economia e finanza, chiarisca la propria strategia, alla luce delle stime, quelle indicate e diverse altre, dei principali dati dell’economia, cogliendo l’occasione della rielezione di Macron per possibili convergenze, maggiormente ora che il Governo tedesco si trova in una non facile posizione, tra riarmo, spinta dell’inflazione, contestazione dell’ipotesi dell’embargo totale del gas importato dalla Russia, perplessità sull’invio di armi all’Ucraina, rifiuto, da parte di Zelensky di ricevere i massimi esponenti della Repubblica federale. Occorre agire sui due versanti, mentre sembrano prendere piede, nella Bce, anche se non maggioritarie, le tesi che vorrebbero una più rapida riduzione, rispetto a quella ipotizzata, del carattere accomodante della politica monetaria.

Si tratta di progettare una possibile nuova fase in cui dovrà essere la politica economica, a livello centrale e nei singoli Stati, a svolgere un ruolo di propulsione, mentre la politica monetaria riduce le operazioni non convenzionali se a tanto si dovrà arrivare in nome del mantenimento della stabilità dei prezzi individuata nel 2 per cento simmetrico nel medio termine. Tutto ciò esige un mutamento significativo dell’impostazione delle politiche di Bruxelles, a cominciare dal Patto di stabilità ora vigente, che un’osservatrice imparziale e assai autorevole, la ministra Usa del Tesoro Janet Yellen, ritiene insieme con il Trattato Ue, un ostacolo fondamentale alla conduzione di un’adeguata “fiscal policy”. Si tratta altresì di concordare una sia pur non facile linea unitaria su gas e petrolio, fino all’ipotesi di un Recovery Plan in materia energetica. Ma, poi, bisogna agire ben diversamente rispetto a quanto sinora si sta facendo a livello nazionale. L’accelerazione delle riforme è cruciale. Ma non basta.

Occorre un piano per quest’anno al fine di fronteggiare adeguatamente “hic et nunc” gli impatti dell’inflazione, per il sostegno consistente alle fasce più deboli dei cittadini, per l’impulso alla crescita, per il lavoro e i giovani. Un piano che si raccordi con quello di medio-lungo termine che è il piano per eccellenza, il Pnrr. Se, a tal fine, sarà necessario, come appare scontato, un nuovo scostamento di bilancio, non è pensabile che si alzino barricate contro tale eventualità, come se si aspirasse all’Eden. Se non altro, la rielezione di Macron, pur con i problemi citati, ma anche l’aumento dei voti della Le Pen (per ciò che significa) costituiscono una sveglia per gli altri Paesi dell’Unione o dell’Eurozona. Chi pensava che Draghi avrebbe potuto assumere un ruolo di leader unificatore in Europa deve ricredersi definitivamente dopo la vittoria di Macron. Ma non è irrealistico pensare a una stretta convergenza del Premier italiano con il riconfermato Presidente francese.