Il nuovo cancelliere tedesco
Scholz cambierà la storia della Germania (e dell’UE)

Due settimane fa al Bundestag, Olaf Scholz ha tenuto un discorso storico che la gran parte dei media italiani ha sottovalutato. Nelle parole del cancelliere tedesco, il 24 febbraio 2022, giorno dell’attacco della Russia all’Ucraina, assume per la Germania una gravità quasi pari a quella dell’11 settembre 2001 per gli Stati Uniti. La conseguenza è che la politica estera tedesca (ed europea) dovrà cambiare radicalmente. I partiti della “coalizione semaforo” l’hanno capito: l’Spd di Scholz si converte all’aumento delle spese per la difesa, i Verdi alle esportazioni di armi e i Liberal democratici al finanziamento degli equipaggiamenti militari attraverso l’emissione di nuovo debito. E il capo del governo promette di adottare cinque misure in assoluta controtendenza rispetto alla storia recente del paese. Cinque misure che valgono per il futuro. Ma nel brevissimo periodo manca un ultimo passo decisivo.
1- Il fondo di 100 miliardi di euro per gli investimenti nel settore della difesa è una roba clamorosa, pari alla somma di tre leggi di bilancio italiane. Dopo la fine della Seconda Guerra mondiale e la catastrofe umanitaria provocata dal regime nazista, la Germania è stata una vigilata speciale da parte degli Usa e degli alleati europei. L’idea stessa di un esercito tedesco è diventato un tabù che, negli anni, si è radicato nella coscienza collettiva del paese. La quasi simbolica partecipazione militare in Afghanistan è stata vissuta come una grave lacerazione. La rimozione dell’impegno militare dall’orizzonte mentale del paese ha permesso alla Germania di concentrarsi completamente sullo sviluppo economico. Berlino rappresenta oggi la prima economia del vecchio continente, ma è un nano sul piano militare. L’esercito tedesco è tanto male equipaggiato da apparire ridicolo. Da qui l’impegno di Olaf Scholz a modernizzarlo e a rafforzarlo in vista delle minacce che arrivano dall’est.
2- La Germania aumenterà il suo contributo per le spese della Nato investendo finalmente ben più del 2% del Pil nazionale: così richiedono gli impegni transatlantici fino ad oggi sempre disattesi. I ripetuti inviti di Barack Obama a un maggiore coinvolgimento nelle spese di manutenzione dell’Alleanza atlantica – che finora hanno gravato quasi esclusivamente sugli Stati Uniti – erano caduti nel vuoto. In sedici anni di governo Angela Merkel ha sempre fatto spallucce. Donald Trump ha più volte minacciato di abbandonare l’organizzazione anche per motivazioni economiche. Finora, soltanto i paesi Nato dell’Europa orientale (insieme con il Regno Unito) hanno contributo per cifre superiori al 2% del loro Pil. La ragione è facilmente comprensibile: sono geograficamente i più vicini alla minaccia russa. Viste le dimensioni del Pil tedesco, si capisce bene che il prossimo aumento del budget renderà la Germania il più grande investitore nella difesa in Europa e un partner molto più vicino agli Stati Uniti.
3- L’impegno di Scholz all’invio di alcune armi di fabbricazione tedesca in Ucraina, compresi missili, veicoli corazzati e carburante, mette la Germania alla testa di un inedito impegno dei paesi europei in difesa delle proprie frontiere. Un altro tabù si rompe: è la prima volta che l’Ue finanzia la consegne di armi a un paese terzo. Scholz apre anche alla condivisione dell’intelligenza tecnologica e militare per costruire una politica di sicurezza comune. A partire da una collaborazione sempre più stretta con la Francia, che da anni si spende per lo sviluppo di una “autonomia strategica” dell’Ue. È qualcosa che va ben oltre la costruzione del secondo pilastro della Nato. Con questa iniziativa, il governo di Berlino cercherà di ancorare la sua nuova politica estera e di sicurezza sempre più profondamente nell’Ue, consapevole che la sicurezza di tutto il continente è la base per la sicurezza di ciascun paese membro. È anche un modo per evitare la riemersione di vecchi fantasmi: i partner europei non dovranno avere nulla da temere dal rafforzamento militare dell’economia più forte del continente.
4- Per la prima volta un cancelliere tedesco non fa sconti alla Russia di Putin, accusato di mettere a repentaglio la sicurezza dell’Europa. È un’altra svolta storica che mette fine all’Ostpolitik, la politica distensiva della Germania nei confronti della Russia inaugurata dall’amato cancelliere socialdemocratico Willy Brandt. In questi ultimi sedici anni Angela Merkel ha coltivato in modo inflessibile la collaborazione con il Cremlino, anche a dispetto dei suoi alleati. Il rapporto economico privilegiato con la Russia è stato considerato la via privilegiata per superare i conflitti ereditati dalla Seconda Guerra mondiale e dalla Guerra Fredda e per coltivare l’amicizia tra i due popoli. Oggi però Mosca viene colpita con un pacchetto di sanzioni di dimensioni colossali che cominciano a strozzare la sua economia. Certo, Olaf Scholz si affanna a distinguere chiaramente tra le responsabilità di Putin e gli incolpevoli cittadini russi, vittime della follia autoritaria del loro presidente. Ma, nei fatti, l’iniziativa è tale da sconvolgere alla radice l’atteggiamento di Berlino nei confronti di Mosca.
5- In questo contesto si iscrive infine la clamorosa abiura energetica di Scholz: il blocco del gasdotto Nord Stream 2. La fornitura di gas russo alla Germania è stata un pilastro dell’integrazione economica tra i due paesi, ma anche il tallone d’Achille di Berlino. Il legame sul fronte dell’energia ha resistito perfino all’invasione russa della Crimea e alle sanzioni economiche del 2014. Ma questa volta tutto cambierà. O quasi. Dopo il trauma dell’Ucraina è improbabile che la Russia continui ad essere il principale fornitore di energia della Germania. Scholz ha promesso nuovi ulteriori investimenti per la diversificazione delle fonti energetiche. È anche l’imprevedibile avvio di un cammino verso la condivisione delle fonti energetiche da parte dei diversi paesi europei. Siamo ancora agli esordi, ma l’unione europea dell’energia diventa per la prima volta una prospettiva realistica. Come ha dimostrato anche il recente vertice europeo di Versailles.
Ma tutto questo vale per il futuro. Oggi funziona così, lo sanno tutti: l’invasione militare dell’Ucraina si alimenta con i soldi del gas e del petrolio che Mosca vende agli altri stati. Risorse che, con l’esplosione dei prezzi delle materie prime, sono perfino destinate ad aumentare in queste settimane. Con il paradosso che, più vanno avanti le altre sanzioni, più la Russia guadagna dalla vendita dell’energia. Viceversa, a Putin importa poco del popolo russo che non trova soldi al bancomat. Scholz (e, con lui, Draghi) è di fronte all’ultimo passo. Staccarsi definitivamente dalle forniture di gas russo. Soffrire oggi un po’ di freddo in più nelle case potrebbe essere molto meno peggio, per i tedeschi, che soffrire domani il sacrificio di un conflitto armato.
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