Sarebbe forse un “pensar male” eccessivo immaginare che le operazioni ora progettate nel campo bancario e finanziario e, in genere, societario sfruttino, in questa fase, la possibile distrazione in questo campo, considerata la naturale concentrazione di un diffuso interesse sulla guerra scatenata – con i suoi orrori e le sue devastazioni – da Putin contro l’Ucraina e su tutte le sue conseguenze, a cominciare dall’iperbolico aumento dei prezzi dell’energia e dall’ulteriore spinta all’ inflazione. Eppure si stanno delineando operazioni non ordinarie.

Il Crédit Agricole ha acquisito una partecipazione del 9,2 per cento nel Banco Bpm, dopo che nei mesi scorsi l’Unicredit aveva desistito dal progetto di lanciare un’Opa sull’ex Popolare anche, si disse, per la fuga di notizie sul progetto dovuta ad ambienti politici. Ma ci si interroga sui fini ultimi dell’Agricole, se cioé l’intento è solo quello di realizzare accordi in campo commerciale e di gestione di partecipazioni oppure è volto ad accrescere il livello dell’interessenza. Si evoca pure l’eventuale attivazione, da parte del Governo, del “golden power”, ma si dimentica che, comunque, un’operazione della specie, oltre certi livelli di partecipazione, è sottoposta ai poteri della Vigilanza, in questo caso, di quella accentrata presso la Bce e che difficilmente Bpm può essere considerato un istituto “aggregando” e non invece un intermediario “aggregante”, nel senso, quanto meno, della partecipazione a concentrazioni su di un piano di parità.

Su di un altro versante, la Commissione europea ha approvato il capital plan del Montepaschi, sostanzialmente opera della gestione Bastianini, l’ex amministratore delegato costretto alle dimissioni con motivazioni che in parte non sono note e in parte, per quel che si apprende dalle cronache, appaiono generiche e confuse. Il piano prevede una ricapitalizzazione per 2,5 miliardi la quale, però, dovrà probabilmente essere aumentata. Si è sicuri che Bruxelles condivida la necessità di una proroga per la dismissione della partecipazione pubblica del 64 per cento detenuta dal Tesoro nel Monte, anche se non vi è una formalizzazione al riguardo. Qualcuno spera che possa ritornare un interesse dell’Unicredit, dopo il fallimento del negoziato con il Ministero dell’economia, per l’aggregazione con l’istituto senese e qualche altro ipotizza, invece, anche se con scarso fondamento, un’attenzione del Banco Bpm verso Siena per sottrarsi eventualmente ai disegni del Crédit Agricole. Il Ministro dell’economia Daniele Franco ha detto che il futuro del Monte prevederà solo operazioni selettive, ma sarà salvaguardato il marchio e la presenza nel territorio: un’affermazione che oscilla tra l’ossimoro e l’opacità delle operazioni selettive.

Si pone il problema della riorganizzazione e consolidamento bancari, nei rami medio-alti su cui non sembra che si rifletta adeguatamente. Finora solo la Bper ha agito con tempestività, con l’amministratore delegato Piero Montani, decidendo l’aggregazione con la Carige, ora in corso di attuazione. Spostandoci su imprese non bancarie, su Atlantia, in cui i Benetton hanno una partecipazione del 33,1 per cento e che sta per incassare gli 8 miliardi dalla cessione di Autostrade, si profilerebbe un’Opa con la costituzione di un veicolo al quale parteciperebbero la famiglia Benetton e Blackstone (ed eventualmente altri fondi) rispettivamente con il 60 per cento e il 40 per cento. L’operazione contrasterebbe d’anticipo la presunta iniziativa di due fondi, Gip e Brookfield, che avrebbe coinvolto anche la società (Acs) dello spagnolo Florentino Perez con l’intento di quest’ultimo di rilevare la maggioranza di Albertis di cui Atlantia detiene il 50 per cento più un’azione. Anche a proposito dell’iniziativa dei due fondi, Gip e Brookfield, si era parlato della possibilità, prima ancora di conoscere il progetto dell’Opa dei Benetton, di un ricorso al “golden power” per impedire l’acquisizione dall’estero. Tim ha respinto, pochi giorni fa, la richiesta del fondo americano Kkr di effettuare una due diligence sulla società ai fini dell’Opa consensuale annunciata. La separazione della rete verrebbe, invece, decisa dalla società, non dal “fondo”, non essendo stata accolta la sua proposta.

In diversi punti del sistema, insomma, sono da modificare o completare gli assetti societari e di governance. Non sono del tutto chiare le prospettive per Ita e per l’ex Ilva.
Come si è visto, si oscilla in diversi casi tra progetti di Opa, esercizio del “golden power”, alleanze con fondi. Manca, per la parte che sarebbe di competenza del Governo e distinguendo tra impresa pubblica e impresa privata, una chiara, organica politica industriale. Che non significa, come si vuole da taluni sostenere, dirigismo o violazione della funzione del mercato, anche perché, poi, gli stessi censori della presunta supergestione sono pronti a invocare l’intervento dello Stato quando si profila una minaccia di acquisizione del controllo societario dall’estero. Ciò vale anche nel campo bancario. Un tempo, alcuni sostenevano, a livello politico, la necessità che il Governo adottasse una sorta di “piano regolatore” del credito: questa, sì, era una proposta dirigista. Tutt’altra cosa è, invece, l’esigenza di stimolare, sospingere trasformazioni, aggregazioni e consolidamento nel settore con l’obiettivo di migliorare il modo in cui si corrisponde alla ragion d’essere delle banche: sostenere imprese e famiglie e tutelare il risparmio. In questo quadro, la crescita di valore per gli azionisti può e deve conciliarsi con il sostegno all’economia e allo sviluppo.

Un ruolo fondamentale per le imprese pubbliche hanno le nomine dei vertici, ancora non regolate, purtroppo, da una necessaria normativa che, a partire dalla formazione delle candidature, disciplini in maniera oggettiva e predeterminata il procedimento, i criteri, i requisiti, l’idoneità e le incompatibilità riguardanti coloro che possono essere chiamati ai vertici delle imprese in questione. In sostanza, non si potrebbe dire maiora premunt, con riferimento alla straordinarietà degli eventi bellici, perché la necessaria attenzione ad essi e, soprattutto, l’assunzione doverosa di tutte le possibili iniziative a sostegno dell’Ucraina non escludono misure in altri ben più circoscritti e meno importanti campi d’intervento, quali quelli, non secondari, ora indicati.