Possono la professionalità, la competenza e l’esperienza essere misurati esclusivamente attraverso classificazioni e rigidi requisiti formali? Il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha recentemente emanato, attraverso un decreto, il nuovo regolamento sui requisiti professionali dei vertici degli istituti di credito imponendo un maggior rigore nei profili professionali per la gestione delle banche. Le spinte in tal senso sono state diverse e reiterate nel tempo. Di certo alcuni episodi di malagestione che in passato hanno coinvolto istituti di credito si sono aggiunti al succedersi di crisi economiche che hanno coinvolto anche il sistema bancario.

Senza contare il peso, sempre maggiore e politicamente più rilevante, che hanno assunto negli ultimi vent’anni i grandi colossi bancari i quali, accrescendo a dismisura la propria dimensione e complessità, si sono resi via via più vulnerabili diventando potenzialmente pericolosi per l’intero sistema bancario ed economico, tanto da essere catalogati come “too big to fail”. Dunque, malagestione, crisi economiche e accresciute dimensioni e complessità degli istituti bancari hanno indotto Bce e Banca d’Italia a intervenire ripetutamente con diverse sollecitazioni fino a convincere il Governo italiano a introdurre prescrizioni assai selettive che richiedono agli esponenti bancari un bagaglio di conoscenze estremamente specialistiche con lo scopo – sacrosanto – di favorire un oculato, qualificato ed esperto governo delle aziende di credito in modo da porle così, per quanto possibile, al riparo da errori e malagestione. Una necessità indubbiamente comprensibile e condivisibile senza però illudersi perché se la competenza e l’esperienza possono prevenire una malagestione dovuta a colpa, nulla possono quando questa è frutto di dolo.

Il vero problema nasce, però, nel momento in cui i nuovi requisiti prendono in considerazione soltanto aspetti di carattere formalistico e quando, nel definirli, non si tiene conto della natura del sistema bancario italiano (come del resto di quello europeo e occidentale). Un sistema che non è affatto omogeneo e che, dunque, oltre a grandi gruppi bancari è formato da banche medie, piccole e piccolissime che possono essere s.p.a., popolari e del territorio o di credito cooperativo e che rappresentano una quota importante di mercato. Il problema non è certo nuovo: imprese tra loro diverse per forma giuridica, modello di business e qualità delle relazioni con la clientela e con la rispettiva base sociale, regolamentate allo stesso modo. Un conto è amministrare una multinazionale del credito con sedi e filiali in ogni angolo del pianeta e che oltre a gestire il risparmio svolge imponenti attività finanziarie altro è amministrare una piccola banca del territorio che fa del legame con una determinata comunità e con l’imprenditoria di quel territorio la propria caratteristica principale. Sicuramente per entrambe queste realtà sono richieste competenze, professionalità ed esperienza ma di natura diversa e misurabili con parametri disomogenei.

Imporre profili dirigenziali necessari per la gestione dei colossi bancari a tutto il sistema creditizio produrrebbe notevoli difficoltà nella formazione dei prossimi consigli di amministrazione. Porterebbe ad escludere, non senza danni operativi e reputazionali per le rispettive banche, molti soggetti quali imprenditori o artigiani che operano nelle rispettive comunità e che, pur avendo una indiscussa professionalità ed esperienza conquistate sul campo e nel tempo grazie al rapporto con l’imprenditoria locale, potrebbero non rientrare negli schemi dalla nuova normativa che, interamente focalizzata sulle competenze bancarie, trascura il principio della necessità di diversificare le competenze stesse degli amministratori ai fini di una composizione quali-quantitativa ottimale.

Ciò soprattutto in banche che, come le popolari, fanno del sostegno all’economia reale e del localismo la propria mission. Ancora una volta proporzionalità e flessibilità, insieme ad una elevata dose di buon senso, dovrebbero ispirare i decisori e spingerli a rivedere questo regolamento. Considerare e valorizzare, per preservarla, la biodiversità bancaria è una necessità non tanto e non solo per la solidità del sistema creditizio ma anche e soprattutto per quella economica.