L’inflazione e i rubli: l’accoppiata di due problemi. Alla fine era previsto l’impatto che avrebbe esercitato il crescente aumento dei prezzi del gas e del petrolio: il quadro è ora diventato più complesso con l’inflazione, registrata nelle stime preliminari dell’Istat, pari, a marzo, al 6,7 per cento, un incremento straordinario rispetto all’anno precedente. Gli aumenti si traslano anche sui beni alimentari, con l’incremento significativo del carrello della spesa. Agli iniziali problemi indotti dalla pandemia con il malfunzionamento delle catene di approvvigionamento a seguito del rimbalzo dell’economia dopo la fase più virulenta del contagio, si aggiungono ora gli effetti della guerra mossa da Putin all’Ucraina. Se in una prima fase, i redditi delle famiglie erano solo sfiorati, ora cominciano a essere colpiti: di qui il previsto incontro dei sindacati, giovedì prossimo, con il presidente Draghi.

In altri Paesi dell’Unione e dell’Eurozona si verificano aumenti similari dei prezzi. In Germania, l’inflazione sale oltre il 7 per cento, mentre, secondo le nuove previsioni, per conseguire un’inflazione nell’Eurosistema sotto il 2 per cento, bisognerà attendere il 2024. Solo allora potrebbe dirsi assolto il mandato, che fa capo alla Bce, per il mantenimento della stabilità dei prezzi. E intanto? Inoltre, come si fronteggia il rischio di frammentazione, date l’unicità della politica monetaria e la diversificata situazione, rispetto all’impegno per la stabilità monetaria, dei Paesi partecipanti all’euro? Appare sempre più urgente un coordinamento di misure di politica economica con quelle di politica monetaria, sperando che, per quest’ultima, non si affermi la linea dei “falchi” che vorrebbero ritornare sulle restrizioni accelerando il piano di rientro delle misure monetarie non convenzionali e passando, non molto dopo, all’aumento dei tassi di riferimento.

Occorre agire d’anticipo mettendo in campo la panoplia necessaria che contrasti l’inflazione, senza accentuare i rischi di recessione: in sostanza, che prevenga la stagflazione, la quale sarebbe un evento gravissimo, e, dunque, che non abbandoni la spinta alla ripresa che nelle previsioni per l’anno in corso viene già rivista molto al ribasso, al 2, 5 per cento del Pil, a fronte della stima del 4,7 per cento di settembre. Occorre agire di “ punta e tacco”, come ai tempi diceva Guido Carli, un grande Governatore della Banca d’Italia. In questo quadro, un’ulteriore spinta ai prezzi deriva in queste giornate da un nuovo aumento, dopo una serie di oscillazioni, del prezzo del gas russo. L’obbligo del pagamento delle relative forniture in rubli è diventato giovedì, sulla base del decreto emanato da Putin, l’obbligo di tenere, per le imprese importatrici, due conti, uno in euro e uno in rubli, presso la Gazprombank.

Quest’ultima comprerà, negli orari di apertura della Borsa russa, i rubli convertendo le somme all’uopo rimesse in euro dalle imprese importatrici; quindi depositerà i rubli nell’apposito conto e con essi pagherà alla Banca centrale le forniture in questione. Si tratta di un meccanismo da leguleio – che ricorda l’Azzeccagarbugli manzoniano – mirante, forse, a salvare capra e cavoli. Ma solo fino a un certo punto. Perché il meccanismo deve essere ben conosciuto nella sua interezza, cominciando con il chiedersi se il versamento in euro sarà “ pro solvendo” o “ pro soluto”: il debito si estingue con esso o si estinguerà solo con il pagamento in rubli dopo l’accredito del conto? E in questo secondo caso, i rischi, che nel frattempo si materializzassero, a chi fanno carico, a cominciare da quello di cambio, ma non solo? Putin tenta in questo modo di sostenere la moneta nazionale, ma non è detto che così sarà.

E i pagamenti alle scadenze, da parte della Russia, di cedole e il rimborso di titoli come avverrà, in dollaro o euro ovvero in rubli? Vi è molto ancora da approfondire. L’operazione putiniana evoca il “currency board” con il dollaro di monete dell’America latina, in particolare dell’Argentina, con i risultati che conosciamo. Ma non vi è dubbio che l’operazione escogitata abbia come “extrema ratio”, arma di pressione, il rifiuto delle forniture da un lato, che farebbe male, però, alla stessa Russia e, dall’altro, la rinuncia alle forniture, seguita da un aumento delle sanzioni, da parte dei Paesi importatori, con effetti similari. Alla fin fine, si torna all’esigenza di avere un piano, nazionale ed europeo, che riguardi l’insieme dei carburanti, del quale si è di recente discusso a Bruxelles, ma senza risultati concreti per ora. È proprio il caso di dire: se non ora quando? Non vi è nessun Quinto Fabio Massimo “cunctator” che, temporeggiando, salvi l’Europa.