Gas americano per l’Europa. Gli Stati Uniti si sono impegnati ieri ad aumentare del 68% le loro esportazioni di gas naturale alla Ue «per aiutare» il Vecchio continente «a svincolarsi dalla dipendenza dal gas russo». Si tratta in ogni caso di una grande affare su larga scala che rafforza il primato mondiale americano nella produzione ed export di gas naturale liquido. L’emergenza guerra ha scavalcato quelle obiezioni sulla tecnica (chiamata fracking, fratturazione idraulica) usata dagli Usa nella estrazione di gas da una dozzina d’anni che l’Europa non ha mai condiviso perché ha sempre sostenuto di ritenere eccessivi i costi ambientali che comporta. Il gas liquido arriverà via mare e avrà bisogno di rigassificatori. Per ora la gran parte del gas liquido prodotto dagli Stati Uniti è acquistato, a caro prezzo, dalla Cina, assai bisognosa di assicurarsi forniture di energia.

Secondo fonti citate dalla Reuters il gigante petrolchimico cinese Sinopec avrebbe rinunciato alle trattative per un investimento mirato a commerciare il gas russo: si potrebbe trattare di un primo segno che le sanzioni occidentali alla Russia stanno avendo ripercussioni anche nei rapporti tra Mosca e Pechino. Lo stato maggiore delle forze armate russe se ne è uscito ieri con l’assicurazione che sua intenzione sarebbe prendersi solo la regione del Donbass, dell’intero Donbass non soltanto i territori separatisti di Donetsk e Lugansk. Il che potrebbe far supporre che Mosca sia disponibile a non tentare di sfondare verso ovest. “Le nostre forze e i nostri mezzi si concentreranno nell’obiettivo principale: la liberazione completa del Donbass” ha detto ieri il generale Serguei Rudskoi, vicecapo di stato maggiore.

Oltre al giorno del gas americano, ieri è stato anche il giorno della visita di Biden il Polonia, l’alleato Nato più esposto a Putin sul fronte est dell’alleanza. Un mese di guerra ha cambiato anche la posizione di Varsavia sullo scacchiere politico internazionale. Messe da parte giocoforza le questioni riguardanti la qualità del suo stato di diritto, la Polonia è l’unico Paese che Biden visiterà nel suo viaggio in Europa dopo la tappa a Bruxelles per l’incontro con gli alleati nato. Perché la Polonia è adesso fondamentalmente la principale porta d’entrata dei profughi in fuga dall’Ucraina (2,2 milioni sui 3,7 milioni calcolati finora).

Avrebbe dovuto parlare di piani sull’accoglienza dei profughi con il presidente polacco Andrzej Duda, mai arrivato a causa, dicono le comunicazioni ufficiali, di un problema che ha costretto l’aereo a un atterraggio di emergenza prima e a un immediato rientro a Varsavia poi. Biden è andato quindi nella caserma di Rzeszow che ospita le truppe della 82ma divisione aviotrasportata Usa, occupata nel rafforzamento del fianco orientale della Nato. Lì ha detto: «La posta in gioco non è solo la difesa dell’Ucraina ma la democrazia nel mondo, siamo nel mezzo di una battaglia tra democrazie e autocrazie». È necessario «fare di tutto per far fallire l’autocrazia» e per «difendere la democrazia». Ieri le Nazioni Unite hanno denunciato l’esistenza di fosse comuni a Mariupol. Intercettazioni radio delle conversazioni di militari russi in Ucraina pubblicate dal New York Times raccontano una armata in gravi difficoltà, sotto tiro, senza carburante e senza supporto aereo.