Cosa fare per dare una svolta all’operazione militare speciale, il termine utilizzato dal Cremlino per definire la guerra in Ucraina? Il conflitto, come ormai ovvio a un mese dal ‘day one’, non sta andando come previsto dall’intelligence militare russa, una circostanza che ha già spinto il presidente Vladimir Putin a far partire le prime epurazioni tra gli uomini delle forze armate considerati “colpevoli” delle difficoltà in Ucraina.

Non è un caso dunque che, con l’offensiva da terra sempre più rallentata e che pare ormai concentrata sul rafforzamento della posizione nel Donbass e sul tentativo di conquistare la città di Mariupol, a Mosca si guardi con sempre maggiore preoccupazione allo stato in cui versa l’esercito.

Non solo per il morale bassissimo tra le truppe, mandate allo sbaraglio in battaglia di fronte al nemico ucraino che, seppur di proporzioni ben più ridotte, è stato fortemente armato dall’Occidente. Ora il problema al Cremlino riguarda anche la mera questione ‘numerica’. La cifra delle vittime russe uscita “a causa di un attacco hacker” sul tabloid Komsomolskaya Pravda, i 9.861 morti sul fronte, fa tremare i polsi se paragonata a quella dei conflitti che hanno visto protagonisti i russi in Cecenia, anche considerando il fattore tempo, dato che l’operazione militare a Kiev è iniziata da solo un mese.

Se sulla carta l’esercito russo può disporre di oltre un milione di uomini, in realtà le informazioni che arrivano dal Paese evidenziano una spasmodica ricerca di personale da reclutare per essere inviato rapidamente sul fronte ucraino, in particolare immigrati dell’Asia centrale a cui viene promessa la cittadinanza russa dopo un periodo di servizio in Ucraina.

In particolare il Corriere della Sera evidenzia il caso del sito UzMigrant, col direttore della società che lo gestisce, Bakhrom Ismailov, che in un video in uzbeko promette: “Il servizio a contratto come effettivo russo consente a chiunque di ottenere la cittadinanza in tre mesi”.

Altro problema che deve essere affrontata al Cremlino e dal ministro della Difesa Sergej Shoigu riguarda i soldati di leva, con la fine del servizio tra pochi giorni di 130mila giovani arruolati lo scorso anno. È già noto che, soprattutto nella prima fase del conflitto, Mosca abbia inviato in battaglia giovanissimi soldati di leva senza alcuna esperienza, convinti di dover partecipare ad una esercitazione. Nei prossimi giorni questi 130mila giovani potrebbero essere ‘riconfermati’ per affrontare il conflitto o, ipotesi estrema, ricorrere all’aiuto dell’esercito bielorusso del fido alleato Lukashenko.

Non invierò riservisti, né militari di leva. Gli obiettivi prefissati sono eseguiti solo da militari professionisti“, aveva detto giorni fa Putin, sottolineando che non rispondere al servizio di leva sarà presto considerato un reato.

Quanto all’alleato di Minsk, in Bielorussia si continua a negare l’ipotesi di un trascinamento del Paese nel conflitto. A ribadirlo oggi è stato il segretario del Consiglio di Sicurezza bielorusso, Alexander Volfovich, al canale televisivo Tsv. “Oggi le forze armate sono pronti a difendere il Paese ma solo sul territorio del nostro Paese“, ha spiegato Volvofich, “il presidente lo ha detto e lo dichiaro ufficialmente: non consentiremo a nessun conflitto militare di venire scatenato e non consentiremo a nessuno di trascinarci in alcun conflitto armato ma difenderemo il nostro Paese, il nostro territorio. Siamo pronti a difenderlo“. Intanto le autorità bielorusse hanno deciso di espellere diversi diplomatici ucraini e di chiudere il consolato generale a Brest. “L’ambasciata ucraina continuerà a lavorare in Bielorussia nel formato 1+4, cioè l’ambasciatore e quattro membri dello staff“, ha annunciato il portavoce del ministero degli Esteri di Minsk, Anatoly Glaz.

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Romano di nascita ma trapiantato da sempre a Caserta, classe 1989. Appassionato di politica, sport e tecnologia