Esiste una bozza d’accordo tra Russia e Ucraina. Traballante, ma esiste. Secondo quanto anticipato ieri dal Financial Times, per ottenere la ritirata dei russi Kiev dovrebbe esplicitamente rinunciare ad un suo ingresso nella Nato, rivedere la composizione delle sue Forze armate e rinunciare a ospitare basi militari o armi in cambio di protezione da Paesi stranieri. Il tavolo di discussione pare assai traballante. Mentre ieri Kiev denunciava crimini di guerra atroci in corso, mentre le forze russe bombardavano centinaia di civili rifugiati in un teatro nel centro di Mariupol e sparavano su colonne di persone in fuga dalla città, si stava trattando su un impegno ucraino alla neutralità. Terreno di discussione assai scivoloso perché la neutralità dell’Ucraina sta scritta già nella sua Costituzione, dai tempi dell’indipendenza dall’Unione sovietica.

Ballano le ipotesi di neutralità su modello svedese e su modello austriaco, quest’ultimo assi più vincolante di quello della Svezia. Zelensky, dopo il gesto di apertura offerto martedì nel dirsi disponibile ad accettare di rinunciare di entrare nella Nato, ieri ha detto che rifiuta il modello austriaco di neutralità e anche quello svedese e ha ribadito di volere garanzie di sicurezza. La ferocia dell’invasione è in crescendo, l’offensiva sulle città prevede massacri di civili inermi. Il punto di mediazione non si intravede al momento. Putin non rinuncia al riconoscimento della annessione della Crimea e vuole l’intera regione del Donbass, non solo i territori di Donetsk e Lugansk. Vuole anche Mariupol e il suo sbocco sul Mar d’Azov.

Sono in corso tre tentativi di negoziazioni informali: da parte della Francia, da parte della Germania e da parte della Turchia (“Abbiamo urgente bisogno di un cessate il fuoco umanitario” ha affermato il ministro degli Esteri turco Mevlut Cavusoglu durante una conferenza stampa a Mosca congiunta con l’omologo russo Serghei Lavrov che ha detto di apprezzare “l’approccio bilanciato di Ankara” perché “non ha seguito le sanzioni imposte da Paesi come gli Usa e altri Paesi”). Tutte le strade diplomatiche aperte si sono però finora imbattute nell’indisponibilità di Putin a mollare su nulla.

Non è escluso che non intenda fermarsi finché non si impossessa definitivamente di una porzione molto ampia di territorio del sud e dell’oriente dell’Ucraina che gli permetta di unire la Russia con la Crimea già annessa nel 2014. Esiste anche l’ipotesi terrificante ma non escludibile a priori che i paesi Nato, nonostante tutti gli sforzi e la rinuncia a creare una no fly zone proprio per evitare di entrare direttamente nel conflitto, vengano trascinati in guerra o per un incidente o di proposito.

Questa possibilità s’è vista con l’escalation drammatica di domenica scorsa, quando sono caduti missili russi nell’estremo ovest dell’Ucraina a una decina di km di distanza dalla Polonia (e a meno di 1500 km dall’Italia). La Russia in quell’occasione ha detto chiaramente che l’insistenza occidentale nel rifornire di armi gli ucraini fa diventare i convogli “obiettivi legittimi”. Una minaccia nemmeno troppo implicita: anche se le armi che date agli ucraini le concentrate prima in territorio Nato non consideratevi al riparo da attacchi. L’ultima settimana ha reso evidente che la Russia non è in grado di condurre una guerra lampo in Ucraina, ma anche che non sembra disposta a negoziare quasi su nulla, neanche sui corridoi umanitari.