Tutti i paesi del mondo sono stati costretti a definirsi davanti all’invasione dell’Ucraina e a tutto ciò cui stiamo assistendo sgomenti da quasi un mese e credo che soltanto l’Italia abbia avuto reazioni ideologiche, psicologiche, emotive, di rigetto o di entusiasmo, come nessun altro paese al mondo. Quando lessi alcuni anni fa la riedizione del Discorso sul Carattere degli Italiani di Giacomo Leopardi sociologo e giornalista, restai folgorato da ciò che sapeva su di noi due secoli e rotti prima. Come lo sapeva il Manzoni della Colonna infame e dell’assalto ai forni e poi il vero Pinocchio come lo scrisse Collodi e lo lesse Paolo Poli per i bambini degli anni Sessanta. Aggiungerei Giamburrasca, garbato eversore da salotto in una famiglia borghese con sorella fidanzata e non eviterei la saga di Guareschi col prete da scomunica ai comunisti e del pacioso caposezione del Pci. In mezzo a queste saghe c’era stato il fascismo che non era diverso dal nazionalismo esaltato che confinava nell’anarchismo dinamitardo.

Come esperienza tangibile non ho che quella mia personale e ricordo perfettamente come giovane di estrema sinistra, di cui conosco e so ancora riprodurre e persino provare tutta la gamma dei sentimenti, risentimenti, idiosincrasie e una ben addestrata capacità di negare il vero, affermare il falso, cambiare le carte in tavola e – quando esistevano ancora i partiti di sinistra – chiedere non che cosa fosse meglio per il tuo Paese, ma quale fosse la linea del partito. Una volta accertata la linea, bastava comportarsi come prescritto. E allora, la Russia che invade l’Ucraina come ha già invaso la Crimea e prima ancora la Georgia e ora il Donbass e la Crimea, e che col nome di Urss aveva già invaso tutto quel che le capitava partendo dalla Polonia a quattro mani con Hitler, la Finlandia, le Repubbliche baltiche, la Bessarabia e poi, dopo la guerra vinta la Germania dell’Est, l’Ungheria sotto la pressione del Pci italiano e di quello cinese di Mao, e che occupava Romania, Bulgaria e tutto ciò che capitava a tiro, sempre invocando un diritto storico, planetario perché non dobbiamo dimenticare mai ciò che vi può confermare qualsiasi mappamondo e cioè che la Russia comincia in Polonia e arriva in Giappone costeggiando Cina e Mongolia.

E noi? Noi che abbiamo il nostro bel carattere degli italiani così come descritto dai citati autori della memoria? Sarò sincero: vedo la menzogna a vele spiegate e sono sicuro soltanto della genuina onestà di poche persone che si sono sempre schierate contro le armi, contro la giustizia come punizione – retribution in inglese per dire proprio castigo come compenso per il male fatto. Lì vedo coerenza, ma agli altri credo meno perché fiuto cinismo, anni spesi a spegnere il rispetto per la verità.
Quando Hitler attaccò la Polonia, che cosa credete? Che il mondo si schierasse con i polacchi? Macché. Si scatenò contro inglesi e francesi che avevano formalmente – solo formalmente senza sparare un colpo – dichiarato “guerra all’invasore”. E ogni invasione russa ha avuto in Italia i suoi “carristi” coloro che stavano dalla parte dei carri armati russi a Potsdam, Budapest. Ricordo il mio tentennamento morale per Budapest e avevo sedici anni. Però l’ho avuto e so che sapore ha. Poi, millenni dopo, nel nostro millennio, è intervenuta la classe equestre degli affaristi, i businessmen per i quali l’importante è fare affari: les affairs sont les affairs, scriveva il poeta Jacques Prévert. E anche gli yacht sono pur sempre yacht.

E allora, noi italiani? Noi italiani, in genere, non abbiamo una tradizionale e consolidata indipendenza germogliata dalla verità perché la verità è un trastullo per servi sciocchi. Che cosa sarebbe, poi, questa verità? Non siamo forse tutti figli di Pirandello, uno mille e centomila, la verità dello sfruttatore e dello sfruttato, e giù! tutto il predicozzo sulla verità che non è mai quel che sembra perché non appartiene al mondo apparente, essendo l’Italia neoplatonica dove si detesta l’apparente, che tutto sommato è soltanto copia della copia di una fotocopia. Non raccontiamoci balle con la verità: non siamo nati ieri e siamo molto più preparati nello smascherare la verità per trovare il nocciolo della menzogna (Leopardi). E poi, comunque, non ci sono sempre gli americani? Putin invade, mette a ferro e fuoco, infligge la morte e la pena a chi andava a scuola, o a lavorare o al mercato e con un giocattolo subsonico fa un hamburger di un Paese i cui cittadini hanno il torto infame di desiderare Parigi o Roma e non Mosca, e dài, sinceramente, ma vi pare possibile che dietro questo inferno ci siano gli americani? Altro non ho come prova o indizio, che me stesso. Quando misi piede per la prima volta a New York e non parlavo inglese ma solo spagnolo per aver passato anni a frequentare il Cile di Pinochet, la Colombia dei narcos, il Messico del Comandante Zero dalla camicia impeccabilmente stirata, e per essermi sperduto nelle foreste del Salvador con i bambini orfani di Peter Pan e fiutavo come tutti gli americani, sempre stupidi e grassi, i loro soldati neri mandati al macello e sbarcai a New York City. E li capii che i conti non tornavano. Rimasi folgorato. L’uso della logica e la schiettezza feroce di stampa e televisione sempre furiose contro il potere.

E il nostro mondo riversato lì, in America. Lo so, non fa lo stesso effetto. E queste parole non hanno alcun valore politico ma è ovvio che negli Stati Uniti come in Inghilterra tu appartieni anche a una patria, magari sei irlandese e appartieni all’Irlanda come James Joyce. E sei in guerra con gli inglesi perché la storia della tua gente ti appartiene e tu non sei nazionalista, ma sei patriota come si dicevano patrioti i nostri partigiani della Julia che cantavano Pietà l’è morta dopo essere tornati dalla spedizione in Russia. E adesso non dovrei restare folgorato da quelle bambine ucraine che insieme alle loro nonne preparano armi per difendersi? Bottiglie incendiarie con lo stoppaccio, acqua bollente contro i barbari che poi sono ragazzini come i miei figli, che piangono bevendo il tè bollente delle madri del nemico con un cellulare in cui dire “Mamma, sono vivo”. Quando John Kennedy e poi Lyndon Johnson e il primo Nixon fecero la maledetta guerra del Vietnam, tutti gli americani vedevano in televisione quel che succedeva. E Bob Dylan e Joan Baez cantavano e noi, milioni e miliardi in tutto il mondo in piazza cantavamo We shall overcome.

E quando questi ragazzi russi di un mondo più separato dell’Alabama, provenendo dal mondo profondo e lontano, sapranno? Mai. Mai perché nessuno vuole che sappiano. E noi siamo differenti da coloro che hanno un cuore che batte in petto e troviamo ridicoli i ragazzi che a domanda rispondono (tutti, senza una sola eccezione, quale che sia la televisione satellitare compresa al-Jazeera e persino dalla Cina): «No, signore, mio padre e mio fratello stanno combattendo per il nostro futuro contro gli invasori e noi non vogliamo scappare, ho tredici anni e voglio combattere, vincere questa guerra che ci hanno portato in casa nostra». Davvero il primo sentimento che viene è che tutte le armi sono armi mostruose e che questa guerra sta durando sin troppo, ma che si arrendano, che depongano le loro di armi, e smettano di fare i gradassi. E che chi ha la casa sventrata da trenta tonnellate di acciaio e cingoli non meriti un lanciarazzi per ridurre quel mostro in un rottame.

Avevamo un inno orecchiabile che dice così: una mattina mi sono svegliato e ho trovato l’invasor e dovrete scrivere sulla mia tomba che da combattente sono morto per la libertà. Mi pare si chiamasse Bella ciao, un inno – credo – di provocatori ucraini i quali ogni notte stavano a naso per aria in attesa che i piloti americani e inglesi lanciassero loro col paracadute armi, Armi per combattere. Dice Manzoni che chi non ha coraggio non può darselo e Pinocchio chiede inutilmente giustizia al giudice Scimmia, mentre don Camillo e Peppone si riconoscono nel Sangiovese cantando “chi ha avuto ha avuto”.

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Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.