La questione, diventata incandescente, del progettato aumento delle spese militari fino al 2 per cento del Pil – al di là dei profili di tattica politica e dell’affermazione dell’attualità del problema sorto otto anni fa – tocca aspetti rilevanti dal punto di vista etico, dello ius ad bellum, più in generale, del diritto internazionale e dei diritti umani. Aspetti, questi, che richiedono risposte le quali non vanno, tutte, nella stessa direzione.

Il ruolo che tale questione sta avendo, anche per la vicinanza della guerra scatenata dalla Russia invadendo l’Ucraina, provoca segnali di difficoltà nella maggioranza di Governo fino al punto della salita del Premier al Colle non solo per esporre i termini del confronto, dopo l’incontro con il leader dei 5 Stelle, ma, verosimilmente, soprattutto, ad audiendum. Contemporaneamente, slitta la sottoposizione al Consiglio dei Ministri, prevista per oggi, del Documento di economia e finanza (Def), comunque da presentare entro il 10 aprile. Non si sa se nel Def sarà riportato il predetto aumento al 2 per cento che comporta una spesa aggiuntiva intorno ai 15 miliardi. Il 5 aprile l’Istat dovrebbe pubblicare i dati definitivi relativi allo scorso anno. Nel contesto internazionale, europeo e nazionale nel quale ci troviamo, è difficile ipotizzare un Def che possa essere definitivo, almeno fino alla Nota di aggiornamento normalmente prevista tra settembre e ottobre.

Intanto, le previsioni dello scorso autunno saltano e la crescita del Pil, stimata nel 4,7, ora potrà essere rivista tra il 2,6 e il 2,8 per cento, comunque sotto il 3 per cento, mentre il deficit si attesterebbe sul 5,6-6 per cento e il debito intorno al 150 per cento del Prodotto. Tra aprile e maggio la Commissione rilascerà, come ogni anno, le previsioni di primavera che costituiranno un riferimento importante, mentre una revisione al ribasso dei principali dati economici riguardanti l’Eurozona è stata curata anche dalla Bce e il Fondo monetario internazionale segnala un possibile aggravamento delle difficoltà. Nel frattempo, pur senza essere passati alle specifiche soluzioni pro futuro, sembra esservi convergenza sulla prosecuzione della proroga a tutto il 2023 della sospensione del Patto di stabilità, mentre misure specifiche di procrastinazione sono previste, sia pure con un pletorico reticolo normativo, per il divieto di aiuti di Stato. Il continuum che si è verificato tra pandemia (dopo la crisi finanziaria degli anni precedenti), inflazione, scoppio del conflitto, i cui impatti fanno pesantemente sentire ancora – la guerra in particolare – il loro peso, grava sulla formazione del Def e sulla politica economica e di finanza pubblica che quest’ultimo rappresenta.

A livello europeo, si tarda a decidere misure concrete per una politica dei carburanti, in particolare per acquisti e stoccaggi unitari, e si è lontani dall’istituire un Recovery Plan in materia energetica, a somiglianza dei meccanismi del Next Generation Eu. Eppure un’efficace, stabile politica in questo campo, innanzitutto per la maggiore forza contrattuale, non può che essere promossa a livello europeo, ferme rimanendo, naturalmente, le misure da adottare a livello nazionale anche in questo campo, in attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Il problema non è solo quello, che pure incombe pesantemente, di ridurre la dipendenza dalla Russia nel settore dell’energia, ma riguarda anche la necessità di affrontare la transizione con misure che colleghino l’oggi a una visione di lungo periodo. Finora il Governo ha effettuato, da ultimo, due interventi di sostegno di imprese e famiglie, che si sono susseguiti, escludendo, però, fermamente il ricorso a uno scostamento di bilancio. Nella fase attuale appare, tuttavia, arduo continuare a sostenere una tale linea che finisce con l’affastellare misure a danno della loro organicità, dell’adeguatezza e della proporzionalità.

Alla fin fine, questa renitenza viene utilizzata anche da chi si oppone ad altri interventi, come per l’appunto, all’aumento delle spese militari, sostenendo la priorità di altre spese. Del resto, quando in presenza della guerra solo metaforica della pandemia, si sostiene giustamente, da Draghi solo ex Presidente della Bce, che chi governa la cosa pubblica deve mutare paradigma, si distingue tra debito buono e debito cattivo e si sostiene che è la fase del “dare” da parte dello Stato, non del “ricevere”, non può accadere poi che, in Draghi Premier, subentri, in un momento in cui le difficoltà sono cresciute ed è scoppiata una guerra vera, una sorta di “metanoia”, una conversione verso altri indirizzi. Non vi vogliamo e non vi possiamo credere. E allora? Un Def che per forza avrà natura transitoria deve essere accompagnato da adeguate ed organiche misure di politica economica che tengano conto anche dei mutamenti, per ora non radicali, avvenuti nella politica monetaria della Bce, benché, per gli indirizzi, si susseguano interventi a volte contraddittori o confusi da parte di esponenti di questo Istituto.