Oggi dovrebbe tenersi l’incontro del Governo con i sindacati. È scontato il riferimento al Documento di economia e finanza – da valutarsi dal Parlamento – che modifica diverse previsioni contenute nella Nota di aggiornamento del Documento approvata nell’ottobre scorso, contemplando ora una crescita sotto il 3 per cento, un disavanzo al 5,6 per cento del Pil e un debito in molto leggera discesa. Si tratta di stime ed impegni che poi formeranno oggetto di confronto, ma che, comunque, non possono dirsi esaustivi dal momento che occorrerà conoscere anche le previsioni di primavera, quando saranno pubblicate dalla Commissione Ue, e avere maggiore chiarezza sul destino del Patto di stabilità, la cui sospensione anche per il 2023 è stata accolta anche dall’Olanda: “falco” per eccellenza.

Uguali certezze occorreranno per la definitiva proroga della sospensione, quantomeno fino al termine dell’anno in corso, di una serie di norme relative al divieto di aiuti di Stato. L’incontro con i sindacati si tiene in questo quadro, che è il riverbero delle grandi incertezze dovute agli impatti della guerra, che si sommano a quelli della pandemia, ma anche dell’inflazione. L’inflazione, l’“imposta” che colpisce soprattutto le categorie meno favorite è il primo problema, in questa fase, di chi difende i lavoratori, i salari, l’occupazione. Vi è chi ricorda le misure adottate nella prima parte degli anni Settanta del secolo scorso, quando si dovette fronteggiare il primo shock petrolifero con interventi non solo contingenti, ma anche strutturali, in particolare nella regolamentazione bancaria e dei mercati. Allora il Club di Roma con uno scienziato, Aurelio Peccei, lanciò ripetuti allarmi sui temi dell’inquinamento che, però, rimasero inascoltati; oggi constatiamo la grave sottovalutazione compiuta. In quel periodo, era da poco entrato in vigore lo Statuto dei lavoratori, si veniva dalle lotte sindacali degli anni ‘68 – ‘69; non si poteva ritenere che esistesse un problema di equilibrio nei rapporti tra le parti datoriali e le organizzazioni sindacali e neppure tra queste ultime e il Governo. Di lì a poco si sarebbe arrivati al punto unico di contingenza, in un negoziato con la Confindustria rappresentata da Gianni Agnelli e il sindacato che aveva il principale leader in Luciano Lama: un approdo oggi variamente giudicato, qualche volta con il senno del poi.

Diversa fu la condizione dopo il crollo della lira del 1992, le crisi in settori industriali e i diffusi fenomeni di instabilità nel settore bancario. Fu allora varata, dal Governo Amato, una durissima manovra di bilancio per 90 mila miliardi di lire e si approvò quella misura ancora oggi presente nelle menti degli italiani: l’imposta del 6 per mille sui conti correnti bancari introdotta noctu, la quale fece riprendere, sia pure per quantità nettamente inferiori a quelli degli anni Settanta, l’esportazione di capitali all’estero. Il successivo Governo Ciampi ebbe la lungimiranza di varare un meccanismo di partecipazione alle decisioni con la cosiddetta concertazione tra Governo e parti sociali, fondato sulla politica dei redditi, di tutti i redditi. È a questa fase della vita del Paese che alcuni pensano – se non altro alla “filosofia” sottostante – mentre si teme la falcidie dei redditi bassi ad opera dell’aumento dei prezzi. Oggi, le condizioni sono molto diverse da quelle in cui si sviluppò la concertazione, a cominciare dalla partecipazione italiana all’Unione e all’Eurozona. Il raccordo tra bilancio pubblico, politica monetaria e politica salariale non appare praticabile come allora. Ma lungo una linea del genere bisognerebbe muoversi. Non è sufficiente, mentre si afferma di essere già in recessione tecnica e alcuni temono la stagflazione, pensare esclusivamente ai ristori e ai sostegni da parte del Governo. Occorre, invece, una manovra organica, sostanziale.

L’errore che è stato commesso, e sarebbe stato evidente anche senza gli impatti della guerra, è aver considerato il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) come risolutore dei nostri problemi, la panacea, e non averlo accompagnato con un piano di breve termine con esso raccordato, considerati gli effetti non ravvicinati del Pnrr. E così si è andati avanti con una serie di “spezzoni” di manovre opponendosi rigidamente, da parte dell’Esecutivo, all’ipotesi di intervenire con maggiore consistenza e in maniera organica, volendo evitare un nuovo scostamento di bilancio, che ora appare ineludibile. Ci si è ritenuti soddisfatti di vedere in lontananza con il Pnrr, ma non ci si è accorti che, invece, si diventava miopi, trascurando le necessità “hic et nunc”, mentre, per di più, si manifestavano problemi tra le forze di maggioranza su punti delicati delle leggi di accompagnamento del Piano, in particolare su concorrenza e fisco. Naturalmente, è a livello europeo che le misure debbono essere inquadrate intervenendo nel campo dell’energia con un piano adeguato – che potrebbe essere realizzato secondo lo schema del Recovery Plan – e affrontando il tema dell’acquisto di titoli pubblici da parte della Bce in una fase in cui aumenta l’inflazione e tentano di prendere piede i “falchi” nel Consiglio direttivo dell’Istituto che vorrebbero un progressivo rientro della politica monetaria accomodante. L’ipotesi della costituzione di un’Agenzia europea che acquisti i debiti pubblici dei vari Paesi va esaminata; ma finora non è chiaro se il progetto miri a contribuire a risolvere in parte i problemi del debito, di fatto collettivizzandolo, oppure quelli della Bce connessi con gli acquisti di titoli pubblici sinora effettuati.

Anche questa problematica – non in chiave contrattuale s’intende, ma nello spirito della concertazione di un tempo – andrebbe affrontata nell’incontro con i sindacati, in una fase straordinaria della vita dell’Italia, come dell’Europa. Si può dire che ancora viviamo, non per gli ordinamenti e i poteri dello Stato, ma per le condizioni internazionali a cominciare dalla guerra per passare all’economia e alla sanità, in uno “stato di eccezione”. Dover ingaggiare, da parte di alcune forze politiche, una battaglia perché venga considerato lo scostamento di bilancio e ciò che esso significa in termini di quantità e qualità delle misure da adottare, senza che sia escluso l’intervento a livello europeo, che anzi è necessariamente postulato, offre l’immagine della confusione di orientamenti nella stessa maggioranza. Una condizione che retrospettivamente fa brillare per tempestività e completezza gli accennati interventi adottati all’inizio degli anni Settanta quando anche i rapporti internazionali erano stati pesantemente incisi dalla decisione degli Usa sull’inconvertibilità del dollaro in oro. Ma anche allora si prospettarono misure strutturali, come il piano, promosso dall’allora Governatore della Banca d’Italia, Guido Carli, per l’impiego produttivo in Occidente dei “petrodollari”, la valuta incassata dai Paesi produttori dell’oro nero ( si parlò di “ tassa dello sceicco”) per il pagamento delle importazioni di petrolio. E oggi?