Economia
Dal conflitto mazzata alla nostra economia, serve un piano anti-guerra

È stata una non facile dimostrazione di dosato equilibrio tra “falchi” e “ colombe” del Comitato direttivo della Bce quella che ha dato giovedì scorso la presidente Christine Lagarde, anche nella conferenza-stampa successiva alla seduta del Direttivo. I primi avrebbero voluto il deciso avvio della normalizzazione della politica monetaria, anche con l’aumento dei tassi di interesse di riferimento; le “colombe”, invece, erano preoccupate per i rischi di recessione o, alcune di esse, di stagflazione.
La presidente ha condotto la riunione dell’organo in modo che non si adottasse alcuna misura restrittiva concreta, ma si ribadisse con una nettezza, superiore a quanto sinora si è fatto, la prevista fine a giugno degli acquisti di asset (secondo il piano App), il “quantitative easing”, pur lasciando, nella formalizzazione del relativo impegno, qualche condizionale e non escludendo l’eventualità del termine a luglio o ad agosto. Fondamentale sarà l’esame dei dati in quel momento. Un certo tempo dopo questo termine si avvierà la risalita dei tassi di interesse. Intanto, le formule adottate per i criteri che seguirà il governo della moneta – flessibilità, gradualità, opzionalità – sono buone a tutti gli impieghi, così come lo è la formula quasi standard riguardante la prontezza del Direttivo ad adottare tutte le misure che si rendessero necessarie mirate, nella sostanza, alla stabilità monetaria. Dunque, in questo mese gli acquisti in questione saranno pari a 40 miliardi, a maggio a 30 e a giugno a 20 miliardi, dopodichè dovrebbe ritenersi che siano terminati, dopo che si sono conclusi, con la fine di marzo, anche gli acquisti del piano pandemico, Pepp, salvo i reinvestimenti.
Una novità ancora da chiarire riguarda l’introduzione, alla quale, se necessario, il Direttivo è pronto, di un nuovo strumento per acquisti flessibili di titoli al fine di contrastare la frammentazione nell’area, benché si ritenga che essa non sarà indotta dalla pandemia (ora in una fase meno virulenta di quella del tempo trascorso).
Alla testa di tutto vi sono il dominio di una grande incertezza e l’aumento dell’inflazione (a marzo pari al 7,5 per cento). Finora, quest’ultima non ha registrato effetti di secondo livello con conseguenti aumenti, in particolare, di salari e stipendi che costituirebbero il motivo per un intervento della Bce in chiave restrittiva. In effetti, l’inflazione continua a essere considerata non strutturale. Ma tutto dipende dalla sua evoluzione ed è lecito chiedersi fino a quando la posizione equilibrista del vertice dell’Istituto centrale, che riesce a prevenire, o comunque a comporre, spinte più decise in un senso o nell’altro, a seconda della metafora ornitologica, potrà reggere e non si imporrà una scelta più decisa, che potrà essere imposta dall’obbligo di adempiere la mandato sul mantenimento della stabilità monetaria. Non poco dipenderà dalla linea che i Governi dell’area decideranno per le rispettive politiche economiche. Sarebbero certamente dannose un’ impostazione tendenzialmente restrittiva della politica monetaria e una linea di politica economica di pari carattere.
Il “tacco e punta”, secondo la metafora di Guido Carli, riguarda il governo della moneta, dunque il banchiere centrale, ma si imporrebbe pure, in questa fase, per il rapporto tra politica monetaria (e di Vigilanza bancaria e finanziaria) e politiche economiche e di finanza pubblica. In questo senso, attendere ancora per decidere se accrescere la quantità di risorse in deficit per sostenere il rilancio dell’economia italiana, nella speranza, per esempio, che si deliberi a livello europeo un Recovery plan in materia energetica oppure che si adottino altri drastici, efficaci provvedimenti in questo campo, potrebbe risultare tardivo. Il tema dello scostamento di bilancio non può essere accantonato: ovviamente esso non è un “ prius” logico, ma è conseguenza delle misure da adottare che vanno analiticamente motivate. Non si dà per scontato che si passerà, dalla Bce, a una politica restrittiva, un passaggio che, soprattutto in questa fase, potrebbe essere anche criticato oggettivamente, al di là dei “ falchi” e delle “ colombe”; tuttavia il problema del raccordo tra politica monetaria e politica economica è ineludibile e concerne conseguenze per l’una e per l’altra. La famosa frase sul “fare tutto ciò che è necessario…” pronunciata da Mario Draghi a Londra alla fine del luglio 2012 per il salvataggio dell’euro va ora traslata nel campo dell’economia reale.
Se non siamo tecnicamente in una “economia di guerra”, come pure alcuni sostengono, incertezze e difficoltà sono gravi e numerose; dunque, il “dare e non prendere” da parte dello Stato, l’esigenza di un nuovo paradigma, il debito che è da configurare diversamente in una condizione da “stato di eccezione”, eccetera: sono concetti, a suo tempo espressi dal presidente del Consiglio Mario Draghi, oggi ancora e forse più validi, per la persistenza e l’aggravarsi di problemi, a cominciare da quelli indotti dai prodotti energetici. Allora, si abbandonerà, finalmente, la strategia delle misure economiche “a pezzi e bocconi” per un piano organico che si affianchi al Pnrr e sia mirato al breve termine? O si vuole guardare solo al medio termine e anche non adeguatamente? Bisogna, insomma, evitare il rischio che “sero medicina paratur”, come dicevano i romani, che la cura sia tardiva.
© Riproduzione riservata