Padova è vestita di nero. Il cielo plumbeo sopra la basilica di Santa Giustina sembra voler trattenere le lacrime per poi cedere al dolore, la pioggia inizia a cadere. Tutto intorno è grigio, come sospeso, cristallizzato in un dolore che non lascia scampo, che dilania la famiglia di Giulia Cecchettin ma che ci passa accanto e ci sfiora tutti.

È il giorno dell’addio a Giulia, morta per mano del suo fidanzato. È il giorno del dolore più profondo, del distacco, della presa di coscienza che non vedremo più Giulia, chiusa in una bara bianca ornata di rose gialle che arriva nella Basilica gremita, più di mille persone si sono strette attorno al dolore del padre Gino e dei fratelli di Giulia, Elena e Davide.

All’esterno diecimila persone seguono la funzione celebrata dal vescovo di Padova, monsignor Claudio Cipolla, e agitano le chiavi o suonano i campanelli per fare rumore, rumore per Giulia. “Non avremmo voluto vedere quello che i nostri occhi hanno visto, né ascoltare quanto appreso nella tarda mattinata di sabato 18 novembre.

Per sette lunghi giorni abbiamo sperato di vedere e sentire cose diverse, invece ora siamo qui con gli occhi, anche quelli del cuore, pieni di lacrime – ha detto il vescovo – Abbiamo bisogno di parole e gesti di sapienza, che ci aiutino a non restare intrappolati nell’immane tragedia che si è consumata. In noi ci sono amarezza e rabbia, ma quanto abbiamo vissuto ha reso evidente il desiderio di trasformare il dolore in impegno, per una società migliore che abbia rispetto della persona, donna o uomo che sia”. Davanti all’altare Gino, Elena e Davide si tengono per mano.

C’è chi ha acceso una candela e si è preoccupato di tenere la fiamma viva per tutta la durata della messa. Papà Gino è composto, trattiene le lacrime, sulla giacca un fiocco rosso per la sua Giulia, per tutte le donne morte per mano di un uomo che ha creduto di potersi arrogare il diritto di porre fine alla vita di un’altra persona. Alle spalle di Gino Cecchettin, in rappresentanza del Governo, il ministro della Giustizia Carlo Nordio. In chiesa ci sono anche il presidente della regione Veneto Luca Zaia e una quarantina di sindaci che indossano tutti la fascia tricolore.

C’è anche una corona di fiori, la manda il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. La mano di Gino, non lascia quasi mai quella della figlia Elena aggrappata al braccio del papà per quasi tutto il funerale. Il fratello più piccolo, poggia la testa sulla spalla di quel padre che è ancora in piedi di fronte alla bara della figlia. C’è la foto di Giulia che sorride, che guarda quella marea di persone giunte lì a salutarla per l’ultima volta. Nello strazio, la pietà cristiana che si erge nel buio come una luce, arrivano le parole del Vescovo per Filippo Turetta, in carcere con l’accusa di aver ucciso Giulia: “Chiediamo la pace del cuore anche per Filippo e la sua famiglia”.

Turetta, deteneuto in un regime di “custodia aperta” potrà seguire in diretta Tv i funerali di Giulia: su questa concessione l’opinione pubblica, quasi tutta, si è indignata non poco. E dopo il messaggio alla famiglia Turetta, il Vescovo parla a tutti i giovani: “Nella libertà potete amare meglio e di più: questa è la vostra vocazione e questa può e deve diventare la vostra felicità”. C’è il silenzio, c’è il dolore, c’è la rabbia perché ancora una volta non abbiamo potuto e saputo fare niente per salvare Giulia. Nel dolore più profondo, più grande che un uomo possa conoscere, il papà di Giulia raggiunge l’altare e prende la parola. Parlerà solo lui, quattro pagine per raccontare lo strazio, per ringraziare chi è lì, le istituzioni. Ma anche per parlare alla politica, alla scuola, ai giovani: perché la morte di Giulia ci faccia svegliare da un sonno della ragione e dei valori.

“Carissimi tutti, abbiamo vissuto un tempo di profonda angoscia: ci ha travolto una tempesta terribile e anche adesso questa pioggia di dolore sembra non finire mai. Ci siamo bagnati, infreddoliti, ma ringrazio le tante persone che si sono strette attorno a noi per portarci il calore del loro abbraccio- inizia così Gino -. Mia figlia Giulia, era proprio come l’avete conosciuta, una giovane donna straordinaria. Allegra, vivace, mai sazia di imparare. Ha abbracciato la responsabilità della gestione familiare dopo la prematura perdita della sua amata mamma. Oltre alla laurea che si è meritata e che ci sarà consegnata tra pochi giorni, Giulia si è guadagnata ad honorem anche il titolo di mamma.

Nonostante la sua giovane età era già diventata una combattente, un oplita, come gli antichi soldati greci, tenace nei momenti di difficoltà: il suo spirito indomito ci ha ispirato tutti – poi parla della violenza dilagante degli uomini contro le donne – Il femminicidio è spesso il risultato di una cultura che svaluta la vita delle donne, vittime proprio di coloro avrebbero dovuto amarle e invece sono state vessate, costrette a lunghi periodi di abusi fino a perdere completamente la loro libertà prima di perdere anche la vita. Come può accadere tutto questo? Come è potuto accadere a Giulia? Ci sono tante responsabilità, ma quella educativa ci coinvolge tutti: famiglie, scuola, società civile, mondo dell’informazione”.

Poi il messaggio rivolto a tutti gli uomini:

“Mi rivolgo per primo agli uomini, perché noi per primi dovremmo dimostrare di essere agenti di cambiamento contro la violenza di genere. Parliamo agli altri maschi che conosciamo, sfidando la cultura che tende a minimizzare la violenza da parte di uomini apparentemente normali. Dovremmo essere attivamente coinvolti, sfidando la diffusione di responsabilità, ascoltando le donne e non girando la testa di fronte ai segnali di violenza anche i più lievi. A chi è genitore come me, parlo con il cuore: insegniamo ai nostri figli il valore del sacrificio e dell’impegno e aiutiamoli anche ad accettare le sconfitte. Creiamo nelle nostre famiglie quel clima che favorisce un dialogo sereno. Viviamo in un’epoca in cui la tecnologia ci connette in modi straordinari, ma ci isola e ci priva del contatto umano reale”.

E poi l’educazione.

“La scuola ha un ruolo fondamentale nella formazione dei nostri figli. Dobbiamo investire in programmi educativi che insegnino il rispetto reciproco, l’importanza delle relazioni sane e la capacità di gestire i conflitti in modo costruttivo per imparare ad affrontare le difficoltà senza ricorrere alla violenza. La prevenzione della violenza inizia nelle famiglie, ma continua nelle aule scolastiche, e dobbiamo assicurarci che le scuole siano luoghi sicuri e inclusivi per tutti”.

E ancora le parole riservate a tv e giornali.

“Anche i media giocano un ruolo cruciale da svolgere in modo responsabile. La diffusione di notizie distorte e sensazionalistiche non solo alimenta un’atmosfera morbosa, dando spazio a sciacalli e complottisti, ma può anche contribuire a perpetuare comportamenti violenti. Chiamarsi fuori, cercare giustificazioni, difendere il patriarcato quando qualcuno ha la forza e la disperazione per chiamarlo col suo nome, trasformare le vittime in bersagli solo perché dicono qualcosa con cui magari non siamo d’accordo, non aiuta ad abbattere le barriere. Perché da questo tipo di violenza che è solo apparentemente personale e insensata si esce soltanto sentendoci tutti coinvolti. Anche quando sarebbe facile sentirsi assolti”.

L’appello alla politica:

“Alle istituzioni politiche chiedo di mettere da parte le differenze ideologiche per affrontare unitariamente il flagello della violenza di genere. In questo momento di dolore e tristezza, dobbiamo trovare la forza di reagire, di trasformare questa tragedia in una spinta per il cambiamento. La vita di Giulia, la mia Giulia, ci è stata sottratta in modo crudele, ma la sua morte, può anzi deve essere il punto di svolta per porre fine alla terribile piaga della violenza sulle donne”.

Gino Cecchettin legge poi una poesia del poeta libanese Khalil Gibran: «Il vero amore non è né fisico né romantico. Il vero amore è l’accettazione di tutto ciò che è, è stato, sarà e non sarà. La vita non è una questione di come sopravvivere alla tempesta, ma di come danzare nella pioggia…». Infine, le parole per la sua Giulia sigillano la fine della messa e il dolore, quello invece senza fine, di un padre che ha perso sua figlia.

“Cara Giulia, è giunto il momento di lasciarti andare. Salutaci la mamma. Ti penso abbracciata a lei e ho la speranza che, strette insieme, il vostro amore sia così forte da aiutare Elena, Davide e anche me non solo a sopravvivere a questa tempesta di dolore che ci ha travolto, ma anche ad imparare a danzare sotto la pioggia. Sì, noi tre che siamo rimasti vi promettiamo che, un po’ alla volta, impareremo a muovere passi di danza sotto questa pioggia. Cara Giulia, grazie, per questi 22 anni che abbiamo vissuto insieme e per l’immensa tenerezza che ci hai donato. Anch’io ti amo tanto e anche Elena e Davide ti adorano. Io non so pregare, ma so sperare: ecco voglio sperare insieme a te e alla mamma, voglio sperare insieme a Elena e Davide e voglio sperare insieme a tutti voi qui presenti: voglio sperare che tutta questa pioggia di dolore fecondi il terreno delle nostre vite e voglio sperare che un giorno possa germogliare. E voglio sperare che produca il suo frutto d’amore, di perdono e di pace. Addio Giulia, amore mio”.

Dopo i funerali pubblici a Padova, la famiglia di Giulia si è riunita per una cerimonia più intima nella chiesa di Saonara. Qui il ricordo di Giulia è affidato alla sorella Elena Cecchettin che ha preso la parola:

“Le notti d’estate andavamo in un parchetto vicino a casa e ci stendevamo sulla cesta di corda, rimanevamo lì a dondolarci piano, guardando le stelle, sentendoci infinite…Ora io in quella cesta ci sto comoda ma non è più bello senza di te, perché guardo il cielo e ti vedo in mezzo alle stelle, che fai a metà di un gelato con la mamma. Prima o poi ci rivedremo, lo prometto, ma fino a quel momento so che sarai con me…”

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Giornalista napoletana, classe 1992. Vive tra Napoli e Roma, si occupa di politica e giustizia con lo sguardo di chi crede che il garantismo sia il principio principe.