Era difficile pensare che anche sul femminicidio di Giulia Cecchettin avremmo trovato motivi per discutere e scendere in un confronto dove tutto è bianco o nero e dove l’altro ha sempre il punto di vista sbagliato. E invece anche questa occasione ha tirato fuori polemiche a non finire, senza neanche chiedersi se in tutto questo circo ci fosse ancora spazio per il rispetto verso la vittima, la sua famiglia e la famiglia dell’omicida, devastata anch’essa. Abbiamo letto, scritto, detto parole su ogni possibile punto di vista. È colpa di tutti i maschi, è il femminismo che ha generato questo maschilismo, è colpa dei social (scusa valida per ogni cosa accada al mondo), mancano i valori, dobbiamo fare educazione affettiva e no non serve a nulla fare educazione nelle scuole, garantiamo i diritti di Turetta e tanto sappiamo già che otterrà l’infermità mentale e via dicendo.

E da qualche giorno sappiamo anche, con morbosa curiosità, come vive, cosa chiede, quanto ha pianto e come si veste l’aguzzino in carcere. Tutto piegato a logiche di marketing, tutto urlato, in un grande ring dove vince chi grida di più, chi ottiene il titolo più grande e chi ha più likes, ma dove in fondo non vince nessuno.
In ScuolaZoo, company di riferimento in Italia per chi è adolescente o poco più grande, ci siamo interrogati se e come trattare il tema. Abbiamo e sentiamo una responsabilità enorme verso i ragazzi che ci seguono e ci scelgono per i nostri viaggi. Non ci limitiamo a fare meme divertenti e non ci fermiamo (anzi, spesso non ne parliamo proprio) a trattare gossip o chiacchiericci che fanno grandi numeri ma non trasmettono nulla. Per cui alla prima domanda ci siamo risposti di sì, senza indugi: è giusto trattare il tema. È una scelta doverosa nei confronti di chi ci segue e verso noi stessi, verso come interpretiamo il nostro ruolo sociale. Sul come abbiamo avuto mille discussioni. La delicatezza, il rispetto di cui accennavo a inizio articolo, le richieste che ci sono arrivate dalla nostra community: erano tanti i rischi di diventare una voce tra tante, di contribuire al rumore e all’estremizzazione di un tema che tutto merita tranne che essere trattato così.

Giulia Cecchettin, quando una relazione è tossica

Abbiamo scelto alla fine di parlare di relazioni tossiche: spesso, purtroppo, l’anticamera di comportamenti violenti, di stalking e di mercificazione dell’altro. Una relazione è tossica quando una delle parti cerca di destabilizzare continuamente l’altra, con comportamenti a volte espliciti e chiaramente violenti e a volte in modi subdoli e nascosti. È una relazione dove manca il rispetto e dove una parte cerca di prevaricare l’altra, fino ad annullare la persona, che diventa quasi possesso. Abbiamo scelto questo tema anche per due motivi. Perché su TikTok sono tanti i contenuti in cui una relazione tossica viene presentata come un vanto, come se fosse motivo di orgoglio perché una delle parti (quella maschile, va detto) è gelosa, ha il pieno controllo della relazione e dell’altra persona: esempi tossici, appunto, ma portati come vanto col conseguente rischio di emulazione tra i più giovani.

Come se avere un partner che basa la propria relazione sul controllo e la gelosia assillante siano non solo orgoglio, ma anche l’unico modo di leggere l’amore in una relazione. Il secondo motivo è perché è emerso che Turetta, l’omicida del caso Cecchettin, avesse iniziato ad avere comportamenti violenti già prima dell’epilogo: pedinamenti, controlli a tutte le ore, stalking puro. Abbiamo quindi pubblicato un video in cui, dopo aver controllato i testi con uno psicologo, abbiamo elencato alcuni segnali per cui una relazione può essere considerata tossica. Lo abbiamo fatto cercando di informare, educare, sensibilizzare, così come già da oltre un anno stiamo facendo trattando contenuti di educazione sessuale e sentimentale.

Giulia Cecchettin, l’amore non è possesso

Quel contenuto ci ha restituito uno spaccato sociale preoccupante. Molti insulti: dal semplice “comunisti” alle peggio cose. La maggior parte da account che hanno ormai un ricordo lontano dell’adolescenza, ma anche di qualche ragazzo che difendeva il suo modo di vivere una relazione come se fosse la normalità. Abbiamo avuto conferma che l’amore viene ancora troppo spesso identificato col possesso dell’altra persona, della sua crescita e della sua interezza. Come l’amore così inteso sia per natura portato a sfociare in comportamenti violenti, in cui la violenza fisica è solo la punta di un iceberg ben più profondo: manipolazione, controllo, spegnimento della voce e delle opinioni dell’altro, riduzione a merce che, come tale, può solo essere posseduta ed usata.

C’è ancora tanto da fare sul fronte dell’educazione. Ma la domanda che dobbiamo porci è se la parte di questa generazione che crede sia normale e giusto questo modo di vivere sia in grado di cambiare e, soprattutto, come facciamo noi adulti a evitare il trascinarsi nel tempo di questa concezione tossica e malvagia. Quale esempio stiamo dando alle generazioni più giovani? Basta forse un’ora di educazione affettiva nelle scuole o c’è bisogno del contributo di tutti? Quale è il ruolo delle famiglie, del padre e degli amici? Come facciamo a sradicare convinzioni così forti in chi oggi siede ancora tra i banchi di scuola? Come possiamo invertire la rotta? L’educazione affettiva, alla vita, all’amore, al rispetto verso l’altra persona è la sfida più grande che noi “grandi” abbiamo davanti. Ma, forse, i primi a non avere i mezzi per insegnare ai ragazzi cosa significa amare e rispettare siamo proprio noi. Per cui ben venga ogni azione nelle scuole, grande o piccola che sia: ma perché non rimanga fine a se stessa c’è bisogno di tutti. Perché l’amore, quello vero, passa dall’educazione in senso ampio: non solo da un’ora a scuola, non solo da un video, non solo da un libro. Passa da noi adulti, ogni giorno.