Nel “Si&No” del Riformista spazio alla condanna di Alex Pompa, condannato a sei anni e due mesi per aver ucciso il padre violento intervenendo in difesa della madre. Giusta la condanna? Favorevole la giurista Sofia Argentieri secondo cui “esistono alternative alla violenza per tentare di risolvere situazioni conflittuali”. Contraria la senatrice di Italia Viva Dafne Musolino che replica: “Serve sensibilità verso il contesto familiare in cui le vicende si svolgono”.

Qui il commento di Sofia Argentieri:

La sentenza della Corte d’Assise d’Appello di Torino sul caso di Alex Pompa – che ha ribaltato il verdetto di assoluzione del primo grado, condannandolo a sei anni due mesi e venti giorni per l’uccisione del padre violento – ha lasciato tutti perplessi e francamente disorientati. Ciò che colpisce nella vicenda in esame è la chiara e dichiarata volontà dei giudici di appello di riformare il verdetto assolutorio, in nome di una diversa e rigoristica applicazione delle norme di legge. Certamente l’uccisione di un uomo costituisce un atto contrario alla legge, a maggior ragione quando la vittima è il padre e l’assassino è suo figlio. La legge però ammette anche le scriminanti, ossia consente di considerare quelle circostanze specifiche che hanno influito sulla condotta del reo e, in alcuni casi, ammette espressamente che il soggetto venga riconosciuto non colpevole.

Ecco perché, in primo grado, si era tenuto conto di una situazione familiare di anni di violenze e sopraffazioni operate dal padre nei confronti della madre, alle quali i due figli avevano assistito inermi e sgomenti, fino al tragico epilogo che si è consumato il giorno in cui il figlio Alex ha deciso di difendere la madre dall’ennesimo assalto di cui era vittima. I giudici dell’appello, però, non hanno creduto che quel ragazzo avesse agito per impedire che si consumasse una tragedia; parimenti, hanno messo in discussione le testimonianze rese dalla stessa madre e dal fratello, tanto da avere chiesto la trasmissione dei verbali delle loro dichiarazioni alla Procura di Torino ritenendole inattendibili.
Cosa resta, dunque, di questa vicenda? In attesa del già annunciato ricorso in Cassazione, rimane certamente una madre che, dopo anni di soprusi, violenze e minacce, dichiara di essere stata salvata da morte certa, quello stesso tipo di morte che, per tante altre donne, non ha trovato alcun ostacolo e si è compiuta in modo barbarico.

E ovviamente c’è un ragazzo, Alex, la cui vita è stata segnata dagli anni di violenze alle quali ha assistito e che, non trovando altro rimedio, ha ritenuto di dover agire per salvare la madre da una fine orribile quanto inevitabile, compiendo quello che, nella storia dell’umanità, è il peggiore dei crimini: l’uccisione del proprio padre. Nell’opinione pubblica resta, invece, un senso di frustrazione e di sgomento. Cicerone ci ha tramandato una regola di diritto che ogni operatore è chiamato ad osservare, secondo la quale la più rigorosa interpretazione della legge non deve mai trasformarsi in una pronuncia ingiusta, come purtroppo sembra apparire quella emessa nei confronti di Alex Pompa. Se anche l’applicazione e l’interpretazione delle norme risulta astrattamente corretta, ciò che non può mai mancare, soprattutto nei casi di violenze di genere, è la sensibilità verso il contesto familiare in cui queste vicende si svolgono e si alimentano.

Quella stessa sensibilità che, ad altre latitudini, ha invece spinto il Procuratore di Marsala ad adottare un provvedimento innovativo, accogliendo l’accorata denuncia di una madre che assisteva al progressivo stato di isolamento della figlia ad opera di un giovanissimo fidanzato che agiva con comportamenti ossessivi e vessatori. In questo caso la procura ha disposto la separazione dei due giovani con l’applicazione del braccialetto elettronico per il ragazzo, stabilendo, inoltre, che il relativo dispositivo di controllo venisse fornito alla ragazza per garantire l’effettività della misura di sicurezza. Colpiscono le parole del procuratore di Marsala che, consapevole di avere adottato un provvedimento unico nel suo genere, ha dichiarato di averlo fatto perché non avrebbe mai voluto trovarsi nella condizione di chiedersi che cosa sarebbe successo se non fosse intervenuto. Eppure anche questa storia che costituisce un esempio positivo verso l’auspicabile formazione di un nuovo grado di sensibilità nella valutazione delle denunce di stalking, lascia l’amaro in bocca perché la vicenda riguarda due giovanissimi (ventun anni lui e appena sedici lei) e perché, nonostante la tempestività della misura cautelare, alla ragazza non è stato ancora fornito il gps di controllo, neutralizzando la misura stessa.
Viviamo tempi difficili e bisogna certamente operare sulla cultura di genere, senza mai dimenticare che l’effettività di ogni misura adottata a tutela delle vittime di reato non può restare solo sulla carta.

Sofia Argentieri / Giurista

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