Ho sempre pensato che Tommaso Landolfi, grande “minore” del Novecento, oggetto di un piccolo (e fanatico) culto specie da parte degli scrittori, spesso associato – insieme ad Alberto Savinio – a un surrealismo italiano, sia come depotenziato, ridotto a personaggio dandystico, tutto squisitamente risolto nella sua sublime eleganza letteraria.  Ma provate a immergervi nei suoi libri di impronta diaristica: La biere du pecheur (1953), Rien va (1963) e Des mois (1967 – e il periodo cui riferisce il diario è quello del 1963-1964). Li ho trovati tutti e tre a Porta Portese, edizioni tascabili e sgualcite d’antan senza alcun pregio (Adelphi ha ristampato tutto). Mentre adesso li rileggevo (non conoscevo l’ultimo) sentivo che nascono da una fondamentale “purezza di cuore”, come ebbe a scrivere lo stesso Landolfi per i diari di Julien Green.

Credo che fin dalle prime pagine diaristiche degli anni Cinquanta, e poi soprattutto in quelle successive, abbia cercato di afferrare il proprio demone, la radice cioè del proprio immaginario più orrorifico – il quale spesso mi ha tenuto lontano dai suoi libri – e infine l’abbia trovata nell’illusione che la vita dipenda dalla propria volontà. Proprio le notazioni riguardanti i figli – ribattezzati il Minimus, la Minor – ci indicano invece una qualche via d’uscita da quello spaventoso dormiveglia popolato da creature ermeticamente sigillate cui accenna in una pagina di Des mois: «Creature umane suggellate e sospese, suggellate, chiuse cioè tutte le naturali aperture di quei corpi, ché gli interni veleni in essi imprigionati facciano l’opera loro tra strazi indicibili».

Nello stesso diario, e stavolta di fronte al Minimus lo scrittore deve registrare come uno scacco a tutta la sua visione volontaristica della vita: «Un figlio nasce anche senza la nostra volontà, e qualche volta a dispetto di essa; e non solo nasce, ma cresce e si evolve comechessia al di fuori e ad onta delle nostre verifiche…». E qualche riga dopo: «E colui, l’infante… parla ed esprime concetti che noi non gli abbiamo instillati, concetti talora suoi propri! (ricordiamo anche che qualche anno prima, nel ’58, per la nascita della Minor lo scrittore si stupiva di non essere inorridito per il solo fatto di vedersi riprodotto e poi si dichiarava intenerito benché per poco, fino a quando «il solito senso di irrealtà, di provvisorietà e vanità abbia sommerso tutto», in Rien va).