Green economy
Ambiente è sviluppo, ma servono top manager all’altezza: “Amministratori illuminati più importanti dei soldi”

L’attenzione che il Riformista sta dedicando ai parchi nazionali e alla loro capacità di supportare l’economia è importante per diversi motivi. È oramai – per fortuna – scontato dire che una delle più grandi opportunità che oggi si presentano a noi è lo sviluppo di una green economy, cioè di un’economia che garantisca un miglioramento del benessere e dell’equità sociale, riducendo in modo significativo i rischi ambientali e le scarsità ecologiche. È scontato ripetere che l’Unione Europea ci crede tanto da investire enormi risorse e che, rispetto ad altre aree del globo, questa sfida è per noi ancora più importante.
Le storie di successo dei parchi del Cilento, del Vesuvio e di altre realtà in tutta Italia sono, invece, un segno concreto e non scontato che la green economy non è solo una vuota retorica. Dalla mia prospettiva di studioso delle aziende in una realtà universitaria che ha scommesso da tempo sull’economia green, questi esempi sono occasioni per alcune considerazioni che ritengo utili al dibattito. La prima considerazione è che l’approccio e le competenze degli amministratori pubblici sono più importanti rispetto alla ricerca di nuove risorse economiche o all’invenzione di un nuovo ente per un qualche motivo diverso dai precedenti. L’esempio dei parchi è interessante perché insistono sul territorio di più Comuni e non elargiscono sussidi, ma possono “solo” creare condizioni perché le imprese si sviluppino.
Queste sono caratteristiche che obbligano i parchi ad avere approcci e competenze molto più avanzate rispetto alla maggior parte degli altri enti e da cui si può apprendere molto. Al di là dei casi virtuosi dei parchi del Cilento e del Vesuvio, le competenze della classe politica e amministrativa in Italia sono però lasciate al caso e, soprattutto nei piccoli Comuni, tendono a essere inadeguate alla difficoltà del gestire organizzazioni complesse. Va aperto in Italia il dibattito sulla formazione, selezione e sui percorsi di carriera della classe politica e amministrativa. Un altro elemento che mi sembra importante ricordare è che, sebbene le imprese nei parchi siano una concreta manifestazione di economia sostenibile, la green economy è molto di più di visite guidate nella natura e agriturismi. Enormi opportunità ci sono nel migliorare la sostenibilità sociale e ambientale in qualsiasi settore economico.
Edilizia, logistica, rifiuti e manifattura – per fare qualche esempio- sono settori dalle dimensioni anche più rilevanti e supportarne efficacemente una strategia di sviluppo green ha bisogno di competenze complesse. Comprenderlo e progettare una strategia concretamente realizzabile e percepita come affidabile dai piccoli e grandi operatori privati è un’attività complessa e che non si improvvisa. Un altro rischio è confondere l’idea di sostenibilità ambientale con i metodi tradizionali che si tramandano di padre in figlio. Agricoltura e allevamento hanno impatti ambientali rilevanti e operatori poco formati, che non conoscono altro che il modo di lavorare che hanno sempre adottato e, restii a introdurre innovazioni, tendono a essere poco sostenibili dal punto di vista ambientale (inquinano di più), sociale (usano lavoro nero e sottopagato), ed economico (producono pochi profitti).
Si pensi all’uso di sensori, software e immagini satellitari per utilizzare le giuste quantità di acqua e di fertilizzanti. Si pensi a quanto è importante saper comprendere i contratti che si firmano con le banche in settori come l’agricoltura che hanno dinamiche finanziarie molto incerte. O capire qualcosa di social media marketing se è l’unico modo per saltare l’intermediazione di giganti della distribuzione tanto forti da riuscire a ottenere prezzi che quasi annullano i margini economici dei piccoli produttori. Come sfruttare ancora meglio le opportunità delle green economy? Dalla mia prospettiva, la risposta non può che passare dalla formazione e dalla cooperazione.
Formazione dei politici, degli imprenditori attuali, dei giovani che lavoreranno in quelle imprese o ne avvieranno di nuove. Cooperazione tra amministrazioni (ad esempio, comuni vicini), tra imprese, tra università. La green economy ha bisogno di competenze tecniche e gestionali. Sviluppare queste competenze richiede investimenti e impegno (non solo buona volontà e buon senso) e far fruttare questi investimenti richiede una dimensione di scala minima che le nostre imprese possono raggiungere solo cooperando con altre imprese, cioè sfruttando le competenze specifiche di ciascuno per migliorare tutte le imprese in una rete di cooperazione. Tutti gli amministratori pubblici dovrebbero investire per diventare capaci di fare quello che i parchi del Cilento e del Vesuvio hanno iniziato “naturalmente” a fare: creare le condizioni perché le imprese collaborino e si sviluppino.
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