La crisi sanitaria innescata dal Covid-19 e il lockdown imposto dal governo sembravano aver decretato la morte del tessuto economico-produttivo. Invece il Cilento ha stupito ancora una volta. Ecco la dimostrazione: a partire dal 4 maggio scorso, addirittura il 97% delle aziende attive nel perimetro del parco nazionale ha riaperto e ricominciato a fare affari nel pieno rispetto delle norme anti-contagio. Segno della tenacia degli imprenditori e della solidità delle loro aziende, certo, ma anche di un contesto nel quale la sostenibilità e l’identità mediterranea imprimono una forte spinta allo sviluppo. Gli ultimi dati messi a disposizione da Ministero dell’Ambiente e Unioncamere, d’altra parte, certificano come l’economia nel parco nazionale del Cilento, Vallo di Diano e Alburni sia cresciuta nel corso del tempo. Tanto che, già nel 2015, la riserva naturale in provincia di Salerno era la prima in Italia per numero di imprese attive, cioè quasi 12mila e 500.

«Da quel momento l’incremento è stato costante – fa sapere Tommaso Pellegrino, presidente del parco – Negli ultimi cinque anni abbiamo assistito alla nascita di altre imprese per un aumento intorno al 30%. E il dato più incoraggiante è che, nella maggior parte dei casi, si tratta di attività avviate e gestite da giovani desiderosi di recuperare terreni abbandonati, valorizzare particolari coltivazioni, puntare sulla dieta mediterranea o sul turismo esperienziale». Ma perché, nel Cilento come sul Vesuvio e in molte altre riserve naturali italiane, si fa la corsa a investire in settori ecosostenibili come agroalimentare e turismo? I parchi non possono elargire sussidi come altri enti. In compenso, possono creare le condizioni perché le imprese vedano nelle norme di tutela ambientale non un vincolo, ma un’opportunità di valorizzazione dell’identità territoriale e di sviluppo rispettoso della natura. Ed è proprio quello che ha fatto il parco del Cilento istituendo un marchio per certificare la territorialità delle aziende. È stato redatto un disciplinare, dopodiché le domande delle imprese sono state vagliate da un’apposita commissione.

E oggi sono 150 le aziende, prevalentemente agricole e caseifici, che possono fregiarsi del marchio del parco esponendolo sui loro prodotti. Con quali vantaggi? «Il parco – spiega Pellegrino – ha acquistato da queste aziende formaggi, verdure, olio e vino che sono stati poi inseriti nel cesto dell’accoglienza, un piccolo omaggio riservato ai turisti che visitano i nostri territori usufruendo del bonus vacanze: in questo modo attiriamo gli ospiti e, soprattutto, rafforziamo l’identità e offriamo possibilità di sviluppo alle imprese». A beneficiare di queste strategie non sono soltanto le località di mare, molte delle quali possono fregiarsi della Bandiera Blu in virtù della pulizia delle acque e dell’alta qualità dei servizi offerti ai bagnanti. Già, perché anche le aree interne del Cilento hanno conosciuto uno sviluppo senza precedenti negli ultimi anni, almeno fino a quando la tempesta del Covid non si è abbattuta sul mondo intero.

Decisivo, in tal senso, è stato il turismo. Nella classifica dei parchi nazionali dove i vacanzieri trascorrono il maggior numero di notti nelle strutture ricettive, infatti, quello del Cilento occupa il secondo posto in Italia con oltre tre milioni e mezzo di pernottamenti. E questo risultato è maturato non solo lungo la fascia costiera, ma anche nelle aree interne grazie al turismo esperienziale, al rinnovato interesse per i borghi e agli incentivi che i vertici del parco hanno assicurato alle agenzie di viaggio e ai tour operator che hanno fatto soggiornare gli ospiti per almeno due notti proprio nell’entroterra del Cilento. «Questi sono i risultati di un ambientalismo moderno che consente di avviare attività e stimolare lo sviluppo anche dove la legge prevede particolari misure di tutela – conclude Pellegrino – Anzi, sono proprio queste regole a offrire grandi opportunità di investimento nella territorialità: continuare a rispettare l’ambiente ci consentirà di superare la crisi-Covid e di salvaguardare il futuro delle prossime generazioni».

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Classe 1987, giornalista professionista, ha cominciato a collaborare con diverse testate giornalistiche quando ancora era iscritto alla facoltà di Giurisprudenza dell'università Federico II di Napoli dove si è successivamente laureato. Per undici anni corrispondente del Mattino dalla penisola sorrentina, ha lavorato anche come addetto stampa e social media manager prima di cominciare, nel 2019, la sua esperienza al Riformista.