‘La nostra linea di navigazione ideale è la freccia, che fende diritta lo spazio’. Mentre l’oceano si schiude in un carnevale di spuma bianca attorno il transatlantico Rex, su cui è imbarcata, Margherita Sarfatti annota il senso stesso, esistenziale e storico, della navigazione, della scoperta e del peso della tecnica, regina il cui dominio rende tutto più sfavillante e incerto. È diretta verso gli Stati Uniti, lungo quella direttrice che centinaia di anni prima avrebbe portato alla scoperta del nuovo mondo, e di questo viaggio, di questo rutilante, intenso, carnicino soggiorno statunitense avrebbe lasciato un brillante volume, ‘America, ricerca della felicità’ che ora Liberilibri ripropone nelle librerie, dopo decenni di silenzio e di oblio. La Sarfatti parte nella primavera del 1934, innamorata dello spazio obliquo degli Stati Uniti, questa civiltà così giovane, accelerata, spazialmente dinamica ed aperta, umanissima e contraddittoria, laboratorio antropologico di una identità che si plasma nel presente costruendo quel passato che Baudrillard, in ‘America’, avrebbe segnalato essere copia originante da nessun originale.

Lei, cosmopolita, brillantissima, di enorme cultura, è la donna che ha plasmato il mito stesso del fascismo, come sottolinea Pietrangelo Buttafuoco nella preziosa prefazione del volume: a lei si deve il monumentale ‘Dux’, volume-biografia che avrebbe traslato Benito Mussolini da personaggio politico di rilevanza italiana a canone mitografico di governo capace di farsi forza fascinatrice a livello internazionale. Lei che al Duce è legata in maniera inossidabile, talmente profonda e vertiginosa da esserne considerata la autentica moglie, e non mera amante.

Eppure questo viaggio segnerà per sempre un radicale, netto, distacco culturale, politico ed esistenziale; infatti, mentre la Sarfatti percorre gli Stati Uniti, studia, visita, incontra influenti personaggi del mondo culturale, economico e politico, si perde davanti i pinnacoli specchiati di acciaio e vetri del grattacielo, autentico paradigma della verticalità statunitense, in Italia nel giugno di quello stesso 1934 sarebbe giunto in visita Adolf Hitler.

Il volume della Sarfatti avrebbe visto la luce solo nel 1937, nella fase declinante del regime attratto orbitalmente dall’ideologia di matrice razziale e antisemita del Terzo Reich, che avrebbe portato l’anno seguente alla promulgazione delle leggi razziali, al ritiro dal commercio del libro e all’esilio conseguente della Sarfatti, ebrea veneziana. L’America diventa così un sogno da fendere nella bellezza delle infinite possibilità, terra di una ‘architettura come fatto politico’, l’ascesa verso il cielo come nuova frontiera dopo aver esaurito lo slancio terricolo. Buttafuoco evoca la penna e l’intelletto di Tocqueville.

Ecco, la Sarfatti si immerge, con stile evocativo e damascato, nel flusso cangiante delle città, delle montagne, delle praterie e dei freddi venti oceanici laddove essi incontrano il calore solare dei pianori essiccati e ocra, in uno spazio che sintetizza l’analisi di Tocqueville, le epopee di pascoli e meridiani di McCarthy, il furore rossino dei falò disperati di Steinbeck: romanzo, saggio, memoir, frammenti di riflessioni e di impressioni, tutto questo è il suo libro.

Nella fisionomia di un infinito in apparenza addomesticato dall’ingegno umano, la Sarfatti, con piglio futurista, scorge ‘orizzonti aerodinamici’ e la sua riflessione, in stupefatta bellezza che cinge come petali di rosa lo sguardo in ogni dove, si inabissa nel fondo azzurrino di notti di febbre. Questo delirio ebbro rende lo spazio circostante, con le sue città sospese tra antica identità europea e nuove forme di espressione urbanistica, un canale di irradiazione di una ontologia ‘più grande del vero’. New York, Boston, Washington, Salt Lake City, Chicago, e poi giù lungo la linea del sole fino a Miami, attraversando quegli spazi siderali percorsi già da pionieri e cowboy, dispersi sotto cieli stellati, fino a Los Angeles, focalizzandosi su cinema, economia, politica, condizione femminile, Grande Depressione, inurbamento, e quella eterna vocazione alla felicità, a volte impossibile ma pur sempre possibilità.