L’elezione all’unanimità come presidente dell’Associazione nazionale Comuni italiani, la standing ovation, gli applausi scroscianti. Il tributo trasversale per Gaetano Manfredi fotografa un aspetto ormai raro: mentre la politica ogni giorno si divide in fazioni di ultras e si diletta nella lotta nel fango, il sindaco di Napoli incassa una fiducia vastissima e riconosciuta anche dal centrodestra. La «scalata istituzionale» parte da lontano: rettore dell’Università Federico II, presidente della Conferenza dei rettori delle università italiane, ministro dell’Università e della Ricerca, primo cittadino del capoluogo campano.

Edoardo Cosenza, assessore alle Infrastrutture e alla Mobilità e già professore ordinario di Tecnica delle costruzioni, fa un ritratto del nuovo leader dell’Anci. «Lo conosco da circa 40 anni. È una persona calma, pacata, equilibrata, tranquilla», spiega. Aperto al dialogo e alla sintesi, ma al tempo stesso «pragmatico e risoluto». Il loro rapporto è basato su stima reciproca, su obiettivi condivisi (specialmente sullo sviluppo urbano sostenibile) e su interazioni professionali, dalla sfera accademica a quella amministrativa.

Manfredi è stato eletto presidente dell’Anci all’unanimità. Cosa lo rende una figura così trasversale e in grado di mettere tutti d’accordo?
«La sua capacità di ascolto, l’equilibrio, la saggezza nella sintesi che fa in tanti campi. È una persona dalla cultura multiforme».

Lei conosce Manfredi da tempo. Ha sempre avuto un’indole per il dialogo e la mediazione?
«Lo conosco da molto tempo. Facendo i conti, da circa 40 anni. Il suo profilo di oggi non è certamente una novità: il dialogo in particolar modo lo ha caratterizzato in positivo, ma al tempo stesso ha sempre abbinato la risolutezza nel prendere le decisioni e nel portarle avanti».

È noto per la sua pacatezza e capacità di ascolto. Riesce a mantenere questo equilibrio anche nei momenti più complicati?
«Assolutamente sì. È sempre una persona calma, pacata, equilibrata, tranquilla. Insieme abbiamo fatto anche complicatissime esperienze in Protezione civile: è una garanzia assoluta pure nelle fasi più difficili, mentre tutti solitamente rischiano di perdere le staffe. Lui, invece, non le perde mai».

Quali sono i punti di forza della sua leadership?
«Certamente ha una cultura profondissima, sia scientifica che umanistica. Colpisce il modo in cui riesce a ponderare le situazioni e a trovare poi le soluzioni giuste e condivise. E un altro aspetto di cui bisogna tenere conto è il fatto che ispira tranquillità: è un vero e proprio gentiluomo».

È stato ministro, rettore e ora sindaco di Napoli. La «scalata istituzionale» viene da lontano…
«L’Università Federico II con le sue 100mila persone – tra studenti, docenti, personale tecnico e amministrativo – è un micromondo. Quindi averlo governato è stata un’esperienza importante, così come aver fatto il presidente della Crui (Conferenza dei rettori delle università italiane, ndr) gli ha dato una capacità di sintesi nazionale. È un grande merito che ha. E poi è arrivato a fare il ministro. Questo complesso di esperienze gli ha dato una notevole trasversalità di stima».

Il profondo legame con la città si riflette anche nel suo modo di governare?
«È un napoletano in qualche modo atipico. Non ha la necessità di stare sotto le luci dei riflettori, anche se poi ci finisce inevitabilmente per il ruolo che ricopre. Ma non è mai in grande agitazione: non cerca la forma perché è un uomo di sostanza anche nel modo di amministrare Napoli. Lui è convinto che bisogna essere giudicati solo sui risultati e non sulle parole».

Possiamo definirlo un riformista gentile e pragmatico?
«Sicuramente è un riformista gentile e al tempo stesso pragmatico e risoluto nelle scelte che poi vengono adottate in maniera condivisa e guidate da lui stesso».

Con il suo modo di fare riesce a compattare il centrosinistra e a dialogare con tutte le istituzioni. Mica poco, considerando che l’estrema polarizzazione di oggi spesso porta solo a polemiche e scontri…
«Litigare non ha alcun vantaggio. Può capitare di partire da punti di vista diversi e assai lontani, ma le istituzioni hanno il dovere di dialogare perché devono rendere servizio ai cittadini. Ecco perché Manfredi è assolutamente contrario a ogni tipo di polemica pretestuosa o di scontro frontale: punta sempre a ragionare con tutti per trovare un compromesso che sia quanto più possibile inclusivo».

In fondo essere un uomo «senza tessere di partito» è un punto di forza?
«Manfredi è una persona profondamente indipendente, anche a livello culturale. Ha una grande onestà intellettuale, quindi anche se avesse una tessera di partito i suoi aspetti non cambierebbero minimamente. Assistere alla sua elezione con acclamazione e con standing ovation, con tutti ad applaudire, è una cosa rara. Probabilmente il fatto che non abbia tessere di partito ha giocato un ruolo. È comunque chiaramente un riformista. Non a caso ha ricevuto pubblici e ripetuti elogi dal presidente della Repubblica, e non è una cosa a cui si assiste ogni giorno».