Tra le misure varate l’altro ieri dal Consiglio dei ministri vi è la possibilità per i Consigli comunali, provinciali e delle città metropolitane e delle Giunte comunali di potersi riunire in videoconferenza. Per quanto ignorata dai più, si tratta di una disposizione importante, soprattutto in prospettiva, perché interviene sull’attuale dibattito circa la possibilità di introdurre, in via emergenziale, forme di partecipazione a distanza ai lavori parlamentari.

Finora, infatti, di fronte alle numerose assenze di deputati e senatori dovute all’attuale emergenza sanitaria, le Camere hanno deciso di riunirsi una volta a settimana e “in scala ridotta”, rispettando in proporzione i rapporti di forza tra i gruppi politici, così da garantire il numero legale e, come nel caso della seduta dell’11 marzo sullo sforamento del deficit, la maggioranza assoluta richiesta dall’articolo 81 della Costituzione, in presenza di eventi eccezionali. Si è trattato di un gentlemen agreement tra le forze politiche, legittimo proprio perché non vincolante nei confronti dei parlamentari che volessero partecipare alle sedute.

Come purtroppo prevedibile, la situazione con il tempo è peggiorata; l’estensione dei casi di parlamentari contagiati e di quelli che, venuti con loro in contatto, si sono messi in quarantena ha già ridotto la rappresentanza politica di molti territori del Nord, alterato la composizione politica delle Camere e rischia, in prospettiva, di paralizzare, per mancanza del numero legale, il Parlamento. Per questo motivo, anziché far finta di niente o appellarsi a un preteso eroismo dei parlamentari (che causerebbe il diffondersi del contagio e, quindi, l’aggravamento del problema) occorre affrontare il problema in modo strutturale, introducendo, come si è fatto per gli enti locali, la partecipazione e il voto dei parlamentari a distanza.

A tale soluzione non osta l’articolo 64 della Costituzione, che fa semplicemente riferimento alla necessaria presenza dei componenti delle Camere, lasciando quindi all’autonomia regolamentare di ciascuna camera, riconosciuta in materia dalla Corte costituzionale (sentenza n. 379/1996), se essa debba essere esclusivamente quella fisica oppure, in circostanze eccezionali, anche quella telematica. Né osta il precedente del 2 agosto 2011, quando il presidente Fini negò la partecipazione a distanza ai lavori parlamentari a un deputato, Papa, finito agli arresti in carcere, per la evidente incomparabilità di quel caso singolo e specifico con quello attuale, ahinoi molto più grave e diffuso, dei molti parlamentari che non possono nemmeno raggiungere Roma.

Bene dunque farebbero i presidenti delle Camere, i quali hanno il dovere di assicurare il buon andamento dei lavori parlamentari, di emanare subito, previo parere unanime della Giunta per il regolamento, una circolare in base alla quale in casi straordinari di necessità e urgenza, come gli attuali, il Presidente possa consentire per un periodo di tempo limitato l’uso del voto telematico per i lavori dell’Aula, delle Commissioni e delle Giunte con modalità tali da garantire la personalità, la libertà del voto del singolo deputato e, in caso di voto segreto, la sua segretezza.

A chi giustamente teme che una simile eccezione possa essere strumentalmente sfruttata in futuro per esautorare il ruolo dei parlamentari e, con esso, il Parlamento, va evidenziato che si deve trattare di misure temporanee sulle quali occorre che si raggiunga un consenso unanime tra le forze politiche. La migliore garanzia per evitare possibili abusi, infatti, non sta nella situazione di emergenza che si è venuta a creare ma nella unanime necessità dei suoi rimedi da parte di tutte le forze politiche presenti.

In una situazione così grave ed eccezionale come quello che stiamo attraversando in cui il Governo emana provvedimenti limitativi delle libertà fondamentali sottratti a ogni tipo di controllo, preventivo e successivo, chi si oppone all’introduzione di misure particolari dimostra di non comprendere e farsi carico della gravità del momento, che potrebbe portare alla completa paralisi dell’attività delle Camere, con un danno ben maggiore per la nostra democrazia parlamentare.

Insomma, per costoro – purtroppo è proprio il caso di dirlo – fiat iustitia et pereat mundus. Invece, è sempre meglio un Parlamento che discute e vota, anche in modalità telematica, che il Governo al posto del Parlamento. Oppure, per ritornare a quanto appena deciso dal Governo, dobbiamo dedurre che il Consiglio comunale di Vattelapesca è più importante della Camera dei deputati o del Senato?