Il decreto
Cura Italia, al Sud vadano almeno 150 miliardi
Il decreto “Cura Italia” ha attivato 25 miliardi di euro per manovre che potranno tamponare l’emergenza economica che ormai viaggia di pari passo con quella sanitaria ma non potranno risolverla, perché non bastano. Sebbene sia presto per avere cifre precise sull’impatto del Covid-19 sulle economie locali, c’è già una stima: per risollevare l’Europa occorrerebbero 3mila miliardi di euro, 300 miliardi dei quali dovrebbero essere destinati all’Italia, e di questi circa il 50 per cento al Mezzogiorno. Perché bisogna ripartire dal Sud se si vuole ridare impulso all’economia del Paese. E bisogna farlo con un investimento choc, di quelli capaci di mettere in campo tanti soldi (300 miliardi appunto) e di renderli utilizzabili in breve tempo (circa due anni).
Ma occorre anche un’inversione di rotta, la presa di coscienza che serve un modello di governance diverso da quello attuale, di cui questa emergenza ha messo a nudo le criticità, e che consenta di alleggerire il fardello della burocrazia in modo da semplificare e accelerare. Solo così, secondo la proposta avanzata da Confindustria presieduta da Vincenzo Boccia, l’Italia può investire sulla crescita e ritornare a essere competitiva nei confronti di altri paesi stranieri. L’idea è di partire dal Sud, da quel Mezzogiorno pieno di opere rimaste troppo a lungo su carta, bloccate nel pantano dei cavilli della burocrazia e delle inerzie di pubbliche amministrazioni. Il decreto “Cura Italia” ha aperto una strada utilizzando i 25 miliardi in deficit concessi dalla Commissione europea per misure in ambiti come la sanità, la protezione civile, il sostegno alle famiglie e alle imprese.
La Regione Campania ha previsto, a sostegno delle aziende, deroghe alle tempistiche contrattuali per facilitare i pagamenti. Intesa San Paolo, è uno dei casi di questi giorni, ha stanziato 15 miliardi di euro per le piccole e medie imprese fra linee di credito aggiuntive e liquidità per la gestione dei pagamenti urgenti. In tanti, inoltre, confidano in un nuovo decreto in aprile per ulteriori risorse, che come le altre però dovranno essere poi recuperate e restituite. Tuttavia non si può fare a meno dell’intervento dell’Europa. Per ora da Bruxelles è arrivato l’ok per una maggiore flessibilità ma è un margine di cui il nostro Paese potrà avvantaggiarsi solo entro i limiti ristretti di un indebitamento che deve fare i conti con un rapporto Debito/Pil troppo alto.
E allora ecco la proposta di Confindustria all’Europa: 3mila miliardi di soldi veri da immettere sul mercato e spendibili in tempi rapidi. Come? Attraverso gli eurobond. L’obiettivo è dare vita a un nuovo sviluppo delle infrastrutture che in Italia potrebbe richiamare investimenti privati oltre a quelli nazionali, rilanciare i consumi, rimettere in piedi l’occupazione e quindi l’economia in generale. Il modello da seguire potrebbe essere il cosiddetto “Modello Genova” seppure con le dovute modifiche (l’Associazione nazionale costruttori ne ha proposte alcune). In ogni caso la linea è chiara: ripartire dalle imprese e cominciare dal Sud.
Da quel Sud del turismo, della ristorazione, delle aziende manufatturiere che per questa crisi sta pagando un prezzo alto. Lo dice un questionario realizzato da Confindustria analizzando le risposte di 4mila aziende italiane: i 2/3 delle imprese hanno finora subìto conseguenze negative per le proprie attività e le più danneggiate sono quelle che operano nei settori della ristorazione e dell’alloggio (99%), della manifattura (62%), dell’abbigliamento e pellami (76%), dell’arredamento (71%).
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