Caro Presidente
Appello a Mattarella: italiani consumatori anziché cittadini, lo Stato è opportunità non solo obblighi

Caro Presidente Mattarella, so che è irrituale rivolgersi a Lei, ma oggi è la mia ultima occasione e visto che sono un ex parlamentare, che ha anche partecipato alla sua rielezione, infrango il protocollo. Ogni giorno penso alle sue parole di qualche settimana fa, che ovviamente condivido, sulla sbagliata fascinazione che conduce qualche superficialotto a esibire saluti romani e nostalgia per quel che è stato un passato lontano (da loro peraltro mai vissuto, né evidentemente fattogli ben comprendere dalla nostra scuola, che preferisce la petizione di principio alla spiegazione comprensibile e dunque convincente); un passato del tutto fallimentare, oltre che vergognoso, che non rivivrà, ma che deve farci riflettere sulle sue ragioni ispiratrici, che rischiano non già di rievocare il fascismo, ma di renderci arrendevoli verso regimi stranieri che gli somigliano e che su questa Nazione, se non si rende più forte e autosufficiente, rischiano di poter fare breccia.
Perché dei giovani che dalla nostra democrazia sono stati istruiti, difesi nella loro libertà, garantiti nelle loro piene aspirazioni sociali, sembrano rimpiangere un regime cupo, dove gli spazi di libertà erano compressi e in cui non sarebbe stato consentito loro di dispiegare la loro personalità, come invece è possibile fare oggi, sia pur con molti limiti da emendare? Perché la nostra democrazia è inefficiente e piena di paradossi che offendono il comune senso naturale di giustizia. E se ne vedono più i difetti che i pregi.
Consumatori anziché cittadini
Viviamo in un mondo in cui scegliamo ogni giorno di essere consumatori anziché cittadini. E come tali fissiamo alcune priorità in un rapporto sinallagmatico con il fornitore di servizi, lo Stato, verso cui ci sembra di avere troppi doveri e troppi pochi diritti. La politica, composta più da follower che da leader, si acconcia a riconoscere queste priorità, a volte capricciose, come tali, non ha la forza di cambiarle, e si lascia percepire come inconcludente. Queste priorità sono sicurezza, con annessa predilezione per l’immigrazione regolare su quella clandestina, libertà fiscale, certezza della garanzia di avere delle chance di costruire qualcosa, assenza di paradosso e asimmetria con uno Stato, ubiquo e molesto, che ci sembra non funzioni, dalla sanità, alla scuola, alla giustizia, a fronte di una contribuzione fiscale ormai anacronistica che spesso sembra venga sprecata. Insomma, a molti italiani sembra che lo Stato pretenda molto e dia, in cambio, assai poco e male, pur pretendendo di fare tutto e spendere troppo. Al contrario, i regimi forti soddisfano il sinallagma di cui sopra, al costo della remissione di alcuni diritti di libertà che però, se noi per primi non esaltiamo, perdono di valore nella comparazione tra democrazie e sistemi autoritari.
Davvero possiamo dare torto a chi nutre sfiducia verso lo Stato? Nel mondo in cui viviamo, ci appaiono invidiabili (senza che sia davvero così, ma oggi la verosimiglianza equivale ahimè alla verità) altre forme di Governo, di cui abbiamo notizia grazie al web. Sono tutti regimi. Dove – si ascolta dire preoccupantemente a sempre più italiani, anche qualificati, mi creda – al costo della rinuncia di un voto ogni cinque anni, e al prezzo di minori regole e obblighi asfissianti, si hanno soddisfatte quelle voci di vita che da consumatori si sono decise come priorità e che fanno la differenza nella quotidianità diffusa. In più, decenni di ostracismo sociale, in cui o si era di sinistra o si era considerati reietti, iniettano un malinteso revanscismo in alcune fette della nostra società. Che declinano in maniera risentita e plateale una nuova percepita dignità d’esistere e contare.
L’emancipazione degli Stati Uniti
Dove non accade tutto ciò? Negli Stati Uniti. Perché lo Stato invade meno la vita dei privati cittadini cui demanda molti servizi, e fa ponti d’oro a chi vuole costruire qualcosa, la democrazia è facile ed efficiente, le storie di emancipazione sono all’ordine del giorno mentre qui appaiono smarrite assieme alla mobilità sociale, e dunque producono orgogliosa appartenenza a una democrazia che distribuisce opportunità, non solo obblighi.
Come lenire queste piaghe, dunque? Restituendo efficienza allo Stato, togliendogli qualcosa da fare, e contraendo un nuovo patto con i cittadini fondato su una loro maggiore libertà. Quando si ha del benessere da conquistare prima e difendere poi, non si ha tempo né motivo per rimpiangere quanto si sarebbe detestato se lo si fosse vissuto. O anche solo ben studiato.
Con rispetto e stima.
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