Il primo pensiero è andato alla sua Telejato: «Questo processo ha distrutto l’immagine di una piccola televisione, ha infangato me. La procura di Palermo ha costruito un’accusa sul niente facendo una figura di m…». Il vulcanico giornalista Pino Maniaci ieri pomeriggio è stato assolto dall’accusa più grave, quella di estorsione, nei confronti degli ex sindaci di Borgetto e Partinico, Gioacchino De Luca e Salvo Lo Biundo. E condannato, invece, a 1 anno e 5 mesi per aver diffamato il giornalista Michele Giuliano, il pittore Gaetano Porcasi, Nunzio Quatrosi ed Elisabetta Liparoto. La sentenza, emessa dal giudice monocratico Mauro Terranova, è stata pronunciata dopo diverse ore di camera di consiglio. Così finisce – almeno per il momento – l’odissea giudiziaria vissuta dal direttore di Telejato alla sbarra da sei anni in un processo nel quale «Maniaci è stato distrutto per estorsioni inventate», ha sottolineato l’avvocato Antonio Ingroia che insieme a Bartolomeo Parrino difende il cronista.

Maniaci è finito sotto accusa nel 2016 nell’ambito di un’operazione antimafia che colpì il clan di Borgetto. Il giornalista impegnato con i suoi servizi a denunciare corruzioni e malaffare del paese è stato inghiottito in un soffocante tritacarne mediatico. Che gli ha prima affibbiato l’etichetta di simbolo della lotta alla mafia per poi scaricarlo e gettarlo nella polvere. Eppure la posizione del giornalista, già nella fase preliminare, è stata stralciata e Maniaci è stato rinviato a giudizio dalla procura di Palermo per estorsione e diffamazione. Secondo l’accusa avrebbe estorto 366 euro agli ex sindaci di Borgetto e Partinico. In cambio avrebbe adottato, nei loro confronti, una linea morbida nel suo telegiornale. «La verità è che 366 euro, lo capisce pure un bambino, non sono un’estorsione – aveva detto Maniaci – ma erano soldi per la pubblicità. Mi hanno messo in mezzo e la cosa parte dal 2013 quando cominciai ad attaccare le misure di prevenzione di Palermo e il cerchio magico di Silvana Saguto».

Maniaci è stato tra i primi a denunciare la rete di potere che a colpi di parentele, amicizie e incarichi offerti sempre agli stessi professionisti, gestiva «in un sistema perverso e tentacolare» i beni sequestrati ai mafiosi e agli imprenditori sospettati di essere stati favoriti dai boss. «Una cosa è certa – ha detto ieri Ingroia – i guai di Pino Maniaci sono iniziati dal momento in cui ha cominciato ad indagare sulle distorsioni del Tribunale Misure di Prevenzione di Palermo, quando questo era presieduto da Silvana Saguto che è stata condannata in primo grado dal Tribunale di Caltanissetta per reati gravissimi. Maniaci, invece, è stato assolto dai reati gravissimi per i quali era stato accusato. Dopo un’inaudita richiesta di pena per undici e mezzo, richiesta solitamente ai delinquenti più spregevoli». Insomma l’obiettivo sarebbe stato «quello di denigrare Telejato – aggiunge Parrino – dare un’immagine di Maniaci come professionista dell’antimafia e allontanare lo sguardo dell’emittente dalla gestione dei beni confiscati di Silvana Saguto. Lascia perplessi il fatto che un semplice giornalista si accorga di certi meccanismi e tutta la procura, invece, no».

Saranno le motivazioni a chiarire ulteriormente i contorni di una vicenda giudiziaria gravida di contraddizioni e che, nella sua lentezza, sembra aver distrutto l’immagine del cronista. Ingroia ha parlato di “linciaggio mediatico”, “di gogna mediatica” e del «diritto da parte di Maniaci di aver risarcito il danno subito, che gli vengano restituiti sei anni di vita distrutta, l’onore e la reputazione professionale indegnamente cancellata». Il direttore di Telejato sembra non aver perso l’entusiasmo: «Sicuramente continuerò a fare il giornalista. È una sentenza che ristabilisce verità e giustizia, ma su di me hanno gettato fango e costruito un castello di menzogne», ha dichiarato Maniaci.