La figura
Augusto Barbera alla Corte Costituzionale, il nuovo presidente è da sempre un sostenitore del premierato
Il nuovo presidente della Corte costituzionale, eletto all’unanimità, ha esordito con un messaggio chiaro: via libera alle riforme, purché fatte bene
“La prima parte della Costituzione appartiene a quei principi fondamentali che non possono essere modificati, semmai ritoccati, perché riguardano l’identità della nazione. La seconda parte – ricordo i tentativi senza successo dal 1983 in poi – può essere modificata. La stessa Costituente volle lasciare aperte alcune pagine, come la struttura del Parlamento e il bicameralismo, per due motivi: non vi era ancora accordo sulla struttura e ciascuno dei due grandi schieramenti temeva il 18 aprile dell’altro”. Augusto Barbera, il nuovo presidente della Corte costituzionale, eletto martedì all’unanimità, ha esordito con un messaggio chiaro ai giornalisti riuniti al palazzo della Consulta: via libera alle riforme, purché fatte bene.
Per chi è appassionato di riforme istituzionali, il nome di Barbera è familiare. Ex parlamentare del Pci e del Pds per cinque legislature, componente della Commissione Bozzi per le riforme dal 1983 al 1985, vicepresidente della Commissione De Mita-Iotti nel 1992, Barbera è fra i promotori dei referendum elettorali del 1991 e del 1993, quelli che aprirono le porte alla democrazia dell’alternanza e alla valorizzazione della premiership. Tutt’altro che conservatore, Barbera non soffre dell’ossessione anti-autoritaria tipica di chi urla contro “l’uomo solo al comando”, né della tradizionale sindrome della “costituzione più bella del mondo” che in diversi frangenti ha bloccato la sinistra su posizioni reazionarie e aventiniane. Come succede, in questa fase, alla segreteria di Elly Schlein. Certo, le riforme vanno fatte con giudizio. “Le riforme costituzionali sono come medicine. Se prendo una pillola per il mal di testa posso far male allo stomaco. Bisogna stare attenti”, ha chiarito. Allo stesso modo è importante che le riforme non siano fatte a colpi di maggioranza. Barbera auspica infatti che vengano approvate dai due terzi del parlamento: “lo dico non per escludere il corpo elettorale, ma perché il corpo elettorale è previsto come second test”. Un avvertimento rivolto alla maggioranza perché non vada avanti da sola, a testa bassa. Ma anche all’opposizione, perché non si nasconda dietro un ‘no’ pregiudiziale. In definitiva, un invito a lavorare sulle modifiche costituzionali in modo bipartisan, perseguendo il bene comune del paese, invece di impedire il cambiamento nel timore che l’altra parte possa godere di qualche vantaggio immediato.
Ma cosa pensa del premierato il neo presidente della Corte? “I poteri del presidente del Consiglio sono limitati… non può licenziare un ministro e neanche un sottosegretario. Tuttavia il suo ruolo è aumentato fortemente perché con l’Europa il presidente del consiglio che partecipa al Consiglio europeo è un presidente che è in grado, nel rapporto con gli altri paesi, di far prevalere le sue decisioni”, ha spiegato Barbera ai giornalisti. Viceversa, “la richiesta del voto di fiducia è espressione di una debolezza della maggioranza. I maxi emendamenti sono obbrobriosi perché raccolgono istanze, interessi e progettini che i parlamentari non riescono nemmeno a conoscere e su cui si chiede la fiducia. Tutto questo crea problemi e la Corte costituzionale non può che essere preoccupata da questa alterazione. Stiamo attenti a non trasformare espressioni di debolezza dei governi in espressione di prevaricazioni”. In uno scritto pubblicato nel 2015, poche settimane prima di essere eletto alla Corte costituzionale, Barbera ricordava che gli strumenti anomali – come l’abuso della decretazione d’urgenza e dei voti di fiducia per lo più su maxi-emendamenti – sono adottati come via di fuga per attuare il programma di governo in situazioni di durata incerta degli esecutivi e perché i governi sono privi di un sistema di prerogative (analoghe a quelle degli altri paesi) su fiducia, sfiducia, scioglimento, revoca dei ministri, corsia preferenziale dei governi in parlamento col voto a data certa di disegni di legge dell’esecutivo. In altre parole, un governo debole indebolisce anche il parlamento. Per superare questo gioco a somma negativa tra i due organi, serve una riforma ben congegnata capace di rafforzarli entrambi. Come accade, per esempio, nelle costituzioni tedesca e spagnola.
Insomma, per storia e cultura, Augusto Barbera non teme certo il rafforzamento del ruolo del presidente del consiglio. Anzi, è tra coloro che, almeno da quarant’anni, sognano istituzioni più efficienti in grado di garantire governabilità e stabilità, da una parte, e l’alternanza al governo tra centrodestra e centrosinistra, dall’altra. Nel 2013, dopo aver lavorato a una proposta di revisione costituzionale e di riforma elettorale (predisposta da un comitato di saggi incaricati dal presidente Napolitano), Barbera scrive un articolo per Il Mulino per ricordare il politologo Roberto Ruffilli, nel venticinquesimo anniversario dell’assassinio ad opera dei terroristi rossi. “Le più importanti proposte dei ‘saggi’ sulla forma di governo erano già contenute nella relazione finale della Commissione Bozzi, in quelle parti votata con larghissimo consenso”, ricorda con amarezza Barbera. E aggiunge: “mi riferisco alla riduzione dei parlamentari, alla fiducia al solo presidente del Consiglio, che così avrebbe avuto maggiore autonomia nella scelta e nella revoca dei ministri, al procedimento legislativo imperniato sulla Camera dei deputati superando il bicameralismo perfetto ( e valorizzando anche per la fiducia il Parlamento in seduta comune), ai limiti severi alla decretazione d’urgenza… ed altro ancora. Molte di quelle proposte sono stancamente ritornate in molti progetti delle successive legislature e di varie forze politiche”. Purtroppo però, anche il comitato dei saggi fallì la sua missione. Più tardi, Barbera condivide anche il progetto di riforma Renzi-Boschi, basato su due pilastri: l’abolizione del Senato elettivo con il superamento del bicameralismo paritario e la riforma della legge elettorale con la legittimazione ‘diretta’ del candidato premier e della sua maggioranza. Come sappiamo, pure questo tentativo fu osteggiato fino alla sconfitta referendaria del 2016.
Oggi che si torna a parlare di riforme istituzionali, la presenza al vertice della Corte di un uomo di centrosinistra aperto all’opzione del premierato potrebbe finalmente rappresentare l’occasione per riaprire un dialogo virtuoso tra maggioranza e opposizione al fine di conseguire, finalmente, un compromesso alto nell’interesse del paese. Ma il tempo è davvero breve: l’incarico di Barbera scade tra un anno.
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