Il premier Giuseppe Conte va alla guerra frontale contro i Benetton. Palazzo Chigi ha scelto di revocare la concessione ad Autostrade per l’Italia (Aspi), azienda controllata da Atlantia, la holding della famiglia industriale veneta. Nella decisione pesano la tragedia del ponte Morandi, la beffa della recente (e obbligata) assegnazione dell’ultimo collaudo del “nuovo ponte Morandi” proprio ad Aspi, il sentimento di rabbia dei parenti delle vittime e di un pezzo d’opinione pubblica contro i Benetton e l’insofferenza del Movimento 5 stelle che da 2 anni invoca “giustizia” e la “revoca immediata” delle concessioni autostradali a danno di Atlantia. Evidentemente a nulla è servita l’ultima proposta di Aspi al governo con 3,4 miliardi per la ricostruzione e i lavori vincolati al crollo del Ponte Morandi, 14,5 miliardi di investimenti e altri 7 miliardi di manutenzioni programmate fino al termine della concessione (2038). E il forte ridimensionamento della presenza dei Benetton in Autostrade, con la promessa di un passaggio dall’attuale 88% a sotto il 51%. Ma Conte, in accordo con il M5s, sostiene che la famiglia veneta, alla stregua di un nemico del popolo, debba proprio uscire da Autostrade, perché non può essere più un “socio dello Stato”.

Ieri l’annuncio a mezzo stampa del premier voleva essere epico ed etico: «I Benetton non hanno ancora capito che questo governo non accetterà di sacrificare il bene pubblico sull’altare dei loro interessi privati». La reazione della Borsa non si è fatta attendere e Atlantia, multinazionale italiana, ha chiuso con un crollo del titolo del 15%. Ma sono altri i numeri che preoccupano. Secondo gli esperti l’eventuale revoca della concessione di autostrade potrebbe provocare un default da 19 miliardi complessivi. Lo Stato dovrebbe versare 10 miliardi ad Aspi come penale per la rottura unilaterale del contratto. Atlantia perderebbe 9 miliardi, di varia appartenenza: dai grandi investitori istituzionali italiani ai partner internazionali, passando per i piccoli risparmiatori. L’ammanco economico cresce a livello esponenziale se si considera il “danno di immagine”, cioè il racconto a livello globale di un Paese che strappa contratti in essere dal valore di miliardi sulla base di una “necessità” emotiva e politica. Senza attendere la pronuncia della giustizia amministrativa e penale, che ancora non hanno condannato Aspi per il crollo del ponte Morandi. Un navigato parlamentare dell’opposizione così si è sfogato al Riformista: «Da Conte due anni di grida manzoniane e facce feroci ai Benetton, non ancora condannati da nessun tribunale. All’improvviso al revoca ad Autostrade. Quindi un contenzioso che possibilmente durerà anni e costerà miliardi. Un investitore straniero adesso penserà all’Italia come una Repubblica delle Banane e ci penserà mille volte prima di investire nel nostro Paese».

A nessuno sfugge che le diverse cordate internazionali, socie di Atlantia in giro per il mondo, possano spaventarsi dopo lo strappo del premier e rivedere i loro affari in Italia. Inoltre da più parti ci si chiede con quale spirito e impegno adesso Aspi, da oggi virtualmente espulsa, si occuperà della manutenzione ordinaria e straordinaria delle nostre autostrade. Una fonte della maggioranza ha palesato al Riformista un sospetto: «Non vorrei che l’annuncio a sorpresa di Conte, con annessa crisi di Aspi e lo scontato crollo di Atlantia in borsa, servisse a preparare il terreno a probabili acquirenti che vogliono adesso sostituirsi ai Benetton a prezzo di saldo». Possibilmente il premier immagina già qualcosa se dalla Germania, dove ha incontrato la cancelliera Angela Merkel per discutere del Recovery Plan, ha dichiarato di avere già «delle soluzioni in caso di revoca». Ottimista anche il viceministro pentastellato alle Infrastrutture Giancarlo Cancellieri, secondo il quale un eventuale indennizzo di 7 miliardi a carico dello Stato sarebbe pagato dal “nuovo concessario”. Finora misterioso. Di nuovi soci parla un caustico Matteo Renzi, che definisce la revoca della concessione una cosa da «populisti» perché «facile da dire e difficile da fare», con un contenzioso miliardario che produrrà «intercettezza, blocco cantieri e licenziamenti». Per il leader di Italia Viva ci vuole un impegno dello Stato su Atlantia, con «un aumento di capitale e l’intervento di Cassa deposito e prestiti».

I renziani non hanno preso bene la svolta “giustizialista” di Giuseppe Conte, con il quale invece nell’ultimo periodo c’è stata una fase di sintonia. Un senatore di Iv ha confidato al Riformista la “preoccupazione” per un premier che «da europeista e moderato ogni tanto si trasforma in populista alla Di Battista». In Parlamento si vocifera che un nervoso Conte si senta accerchiato: da un lato il probabile abbraccio mortale di Berlusconi e Forza Italia, dall’altro il rivale Luigi Di Maio che incontra Mario Draghi, altro spettro su Palazzo Chigi, e perfino Gianni Letta. In questo scenario il premier avrebbe accelerato sulla revoca per recuperare consensi e accontentare il Movimento 5 Stelle, che infatti ieri con il capogruppo al Senato Gianluca Perilli hanno rincarato la dose: «Chi ha sbagliato deve pagare». Neanche stavolta il Partito Democratico si discosta dalla linea tracciata dal premier.

Il segretario Nicola Zingaretti ha definito “deludente” l’ultima proposta di Aspi e definito “condivisibili” le parole di Conte. Matteo Salvini, molto attento agli umori popolari, non si esprime sul destino della concessione: «Se ci sono gli estremi giuridici si revoca, se non ci sono si proroga. Molto semplice». Anche se non rinuncia a una stilettata: «Abbiamo un premier che con le sue parole ha bruciato milioni e milioni di titoli in Borsa, faremo un esposto alla Consob». Oggi il Consiglio dei ministri delibererà sulla revoca. Potrebbe essere una “vittoria consolatrice” per Conte, che ieri in Germania non ha ottenuto i risultati sperati. Al bilaterale di Meseberg con Angela Merkel, le distanze tra Italia e Germania sono rimaste ampie. La cancelliera sostanzialmente appoggia il Recovery Fund proposto dal presidente del Consiglio europeo Charles Michael, secondo il quale i Paesi dell’Unione devono contrattare con la Commissione prima e il Consiglio dopo i fondi stanziati dal Recovery Fund, spiegandone bene finalità e utilizzo.

Così avrebbe luogo una trattativa continua tra Paesi del Mediterraneo e i cosiddetti “Paesi frugali” come l’Olanda, interessati a concedere finanziamenti a Italia e altri stati solo in cambio di riforme concordate in ambito economico e istituzionale. Sarebbe un sistema basato sulle condizionalità, bollate ieri da Conte come “impraticabili” e “follia”. Per il premier, che ha chiesto all’Europa “soluzioni” e non “illusioni e paura”, il Consiglio europeo, inteso come tavolo permanente con i paesi rigoristi, non dovrebbe proprio occuparsi dei Recovery Plan nazionali. Altro che condizionalità. L’accordo in Europa sembra lontano. Forse più facile revocare le concessioni autostradali in Italia.