“Rischi e innovazione” è il titolo dell’intervento che il Capo del Dipartimento Vigilanza bancaria e finanziaria della Banca d’Italia, Giuseppe Siani, ha tenuto nei giorni scorsi al convegno dell’ABI “Supervision, Risks & Profitability”. Il nesso tra l’innovazione e i rischi che essa comporta non è certo cosa di cui stupirsi perché riguarda ogni aspetto dell’evoluzione della vita umana nel suo rapporto con la tecnica, tanto più in un’epoca in cui ogni trasformazione avviene con una rapidità che soltanto un decennio fa era inimmaginabile. Il tema, però, assume una delicatezza tutta particolare in campo creditizio e dunque, bene fa Bankitalia ad affrontare il problema con le dovute cautele e ai massimi livelli.

Come il Capo della Vigilanza ha sottolineato, il sistema bancario e finanziario svolge un ruolo essenziale in questa fase storica, essendo chiamato a contribuire, insieme alle risorse del PNRR, al finanziamento dell’economia, della transizione verde e digitale del Paese. In questo nuovo scenario, l’azione della supervisione, volta a monitorare la sana e prudente gestione degli intermediari, identificare i possibili nuovi rischi e, ove necessario, intervenire per migliorare la capacità di affrontare i cambiamenti in corso a livello globale, diventa a dir poco decisiva. Siani prende atto, senza darne un giudizio di valore, di quanto il sistema bancario italiano si sia ridotto notevolmente negli ultimi anni per effetto delle operazioni di concentrazione, contando, a fine 2021, non più di 200 intermediari. Nel 2020 in Italia sono stati chiusi 831 sportelli. Allo stesso tempo, sono aumentati i soggetti non bancari che a fine 2021 erano arrivati a essere più di 600 con una crescita soprattutto sul versante del risparmio gestito. Ma siamo proprio sicuri che la riduzione degli sportelli sia un bene? Siamo sicuri che ciò non rappresenti un grosso problema per le persone anziane, fragili o che vivono sole, o anche per i cittadini dei tantissimi piccoli Comuni ormai privi di una presenza bancaria? E, sul terreno del funzionamento del mercato, la libera concorrenza viene garantita vista la presenza di soggetti sottoposti a regolamentazione e controlli così diversi e squilibrati pur operando nello stesso bacino?

Lo sviluppo della tecnologia non può essere affrontato non tenendo conto di quello che accade nella società a cominciare dell’invecchiamento della popolazione. I trend demografici sono chiari: la popolazione sta invecchiando e l’Italia è uno dei Paesi in cui la “terza età” rappresenta una percentuale notevole e crescente della popolazione. A inizio 2021 le persone con oltre sessant’anni, che tra l’altro sono i maggiori detentori di risparmio, erano un terzo della popolazione. Il cliente giovane, istruito, occupato ha senz’altro facilità ad operare attraverso soggetti non bancari che si avvalgono maggiormente delle innovazioni tecnologiche ma le soluzioni a disposizione del “cliente tipo” non sono funzionali alle necessità di anziani, disoccupati, precari, disabili o non-urbanizzati. La realtà è ben più articolata e non accorgersi della varietà delle casistiche umane non è certo lungimirante.

È bene allora riconoscere che il rapporto delle banche con le persone non è sostituibile in quanto basato sulla conoscenza personale reciproca. Senza il supporto “umano” che un istituto bancario può dare, in troppi sarebbero messi fuori non solo dal processo produttivo e lavorativo ma anche da quello sociale. Fino ad oggi, sono state le Banche popolari e del territorio a rappresentare l’ultimo argine alla desertificazione finanziaria. Prima della pandemia, su un totale di 7.914 Comuni italiani, quelli bancati, ossia serviti da almeno uno sportello, erano 5.277, il 67% del totale e di questi 2.479 avevano una Popolare. I Comuni con un solo sportello erano 2.049 e quelli con solo una Popolare 663. In un Comune su tre, dove è operativo un solo sportello, la funzione d’intermediazione creditizia viene svolta esclusivamente da una Popolare. Presenza diffusa significa anche fidelizzazione: quasi l’80% dei bancomat dei clienti delle Popolari è effettuato presso sportelli della propria banca (contro un dato generale inferiore), un punto di riferimento per la piccola imprenditorialità e per una larga fascia di famiglie e singole persone che, o per età o per livello di istruzione, rischierebbero di essere escluse. Queste competenze bancarie saranno indispensabili sia per la ripresa dell’economia reale sia per la tutela delle persone più fragili.

Rispetto a questo sbilanciamento di presenze tra intermediari bancari e non, va considerato l’altro aspetto e Siani lo considera: «la proliferazione di intermediari non bancari di piccola dimensione ha reso il sistema finanziario più frammentato, con potenziali maggiori rischi idiosincratici (es. cyber risk, governance) e del sistema nel suo complesso. Ciò accresce l’esigenza di monitorare le interconnessioni tra sistema bancario e gli intermediari finanziari, nelle varie forme in cui esse possono manifestarsi (finanziamenti diretti, investimenti, partecipazioni, etc). L’esperienza conferma che possibili situazioni di crisi nel comparto non bancario possono influenzare i profili di rischio delle banche e il corretto funzionamento del sistema nel suo complesso». Dunque, un problema evidentemente aperto anche per il regolare e corretto funzionamento del mercato nel quale la concorrenza sleale è qualcosa di più di un semplice rischio che rende, sempre più pressante l’esigenza di un quadro normativo e di controlli più efficace, sia a livello nazionale che internazionale. Un problema che si aggiunge a quello della tenuta dell’intero sistema bancario, della sicurezza dei clienti e dei rischi di esclusione finanziaria delle categorie più deboli. Bene, allora, l’innovazione ma attenti e “supervigili” sui rischi.