Abbiamo aperto un dibattito sul futuro dei riformisti e lo continueremo. Ma al momento non riceviamo risposte incoraggianti. Non solo dai leader La politica migratoria da costruire con lo strumento migliore: il confronto, che comprensibilmente non vogliono lasciare la scena, ma soprattutto dai loro tifosi, che dall’altro giorno ci inviano mail e scrivono post dai toni accorati, dispiaciuti o sdegnati, con un solo argomento al centro: per poter mettere mano al futuro, è necessario ricostruire per bene quello che è successo nel passato, chiarendo le responsabilità di ognuno.

Ma a che servirebbe farlo? Inevitabilmente ad accentuare le differenze e a rendere impraticabile ogni prospettiva: quandanche le colpe della divisione dei riformisti, costata qualche seggio a Strasburgo, stessero da una parte sola (e non è mai così, la vita divide sempre con una certa equità torti e ragioni), chiedere abiure, impiantare grotteschi tribunali per giudicare su piccole miserie umane non farebbe altro che dare ad un problema i contorni di una farsa triste.

Per questo l’unica cosa sensata da fare è tagliare in modo drastico i ponti con il passato, ripartendo da zero. Non sono in grado di capirlo capi e capetti, schiavi di piccoli ego e di ambizioni minori? Lo facciano i tifosi, almeno quelli più ragionevoli, togliendosi le magliette e disponendosi ad uno di quei periodici attraversamenti del deserto cui i riformisti, in fondo, sono abituati. Perché si può perdere – e capita spesso – ma l’essenziale è non farsi imprigionare dai rancori, sognare rivincite o rincorrere vendette. Non è vero che il passato – come dice l’ingannevole vulgata – insegna a vivere meglio il futuro. Il passato ci incatena ai nostri pregiudizi e ci rende infelici. Solo il futuro dà respiro alla vita, e anche alla politica.