Politica
Basta lagnarsi dell’astensionismo: “elezioni di mid-term delle autonomie”

I dati parlano chiaro: alle elezioni regionali del Lazio ha votato il 37,2% degli aventi diritto ossia poco più di un elettore su tre. Addirittura meno del record negativo del 2014 che spettava alla Regione Emilia Romagna al primo mandato Bonaccini quando si raggiunse il 37,7%. Poco meglio in Lombardia con il 41,6%.
Le risposte sono plurime e vedremo nei prossimi giorni quanto peserà ciascuna di esse. Ne voglio proporre una non del tutto nuova ma certamente assente dal dibattito attuale dopo aver escluso alcune ragioni in genere impiegate per la risposta.
Prima di tutto si tratta delle elezioni con il più alto tasso di possibilità di scelta per l’elettore. L’astensione quindi non è un tema di carenza di carenza nell’offerta politica: tre candidati dei “blocchi” nazionali in tutte e due le Regioni più altri (uno centrodestra, uno centrosinistra con Terzo polo o con M5S quando uno di questi ultimi non va da solo); possibilità di esprimere due voti di preferenza e di genere, nonché di scegliere una lista diversa da quelle che sostengono il candidato Presidente ritenuto migliore con il voto disgiunto; infine, la possibilità di votare solamente il Presidente senza dover premiare una lista che lo sostenga o meno.
Si tratta del sistema elettorale più “aperto” che un cittadino possa trovare, quindi non è qui che dobbiamo cercare la risposta. Aggiungiamo poi che è anche presente un premio di maggioranza in Consiglio regionale per la coalizione che vince quindi neppure il timore di un voto che non individui chi governa può costituire una risposta alla grande astensione.
Cosa è successo allora? Certamente il voto ravvicinato delle recentissime elezioni politiche, che si sono tenute solamente pochi mesi fa, ha avviato una strada politica di governo del centrodestra nazionale che difficilmente gli elettori mettono subito in discussione con un comportamento contraddittorio. Non un semplice “lasciamoli fare” a prescindere da chi è candidato nel centrodestra, c’è anche dell’altro che riguarda l’astensione.
Votiamo in continuazione, ogni anno di fatto, con pause che anche se non riguardano il territorio dove viviamo interessano altre aree con un dibattito comunque nazionale. Alla campagna elettorale permanente con l’ansia del consenso che hanno inaugurato i nuovi media si affianca una campagna elettorale continua di fatto, concreta, tra elezioni comunali, regionali, europee e nazionali alle quali, stante l’attività parlamentare, si potrebbero aggiungere le redivive elezioni provinciali e metropolitane. Il Parlamento, infatti, sta ragionando proprio in questi giorni dell’eventualità di tornare all’elezione diretta degli organi degli enti di area vasta.
Ora, a ben dire, non si vuole qui dire che “si vota meno perché si vota troppo”, ma certamente una riflessione sul punto va fatta. Siamo certi che la messa in discussione permanente del clima di governo per gestire un perenne clima elettorale sia d’aiuto alla partecipazione? O invece non sia proprio questo continuum a ridurre la sacralità percepita del momento e a rendere il “rito” del voto una occasione sempre presente quindi non necessariamente sempre da esercitare?
Questa bassissima affluenza non è arrivata dopo qualche scandalo, qualche inchiesta e neppure in una fase “piatta” della politica; ciò significa che occorre cercare fuori dalla semplicistica disaffezione per protesta.
Chi va dunque a votare: il sistema elettorale regionale con doppio voto, voto disgiunto e doppio voto di preferenza con alternanza di genere disegna una complessità del meccanismo di voto che potrebbe a sua volta produrre un effetto selettivo tra gli elettori attivi.
L’alto il tasso di espressione delle preferenze in alcune circoscrizioni provinciali sembra aver portato a votare gli elettori “a contatto” con la politica (militanti, associazioni, eletti nei Comuni), tanto che lo spostamento di voti da una lista ad un’altra, in alcuni Comuni, dipende dai candidati soprattutto se già Consiglieri o Sindaci in un determinato Comune.
Infine c’è il tema della natura della Regione nella governance della Repubblica: davvero gli elettori hanno la percezione del ruolo dell’ente? Sappiamo che non ne hanno e sappiamo anche che in questi anni l’immagine della Regione è stata schiacciata sulla sanità e sulla tutela della salute, mentre la Regione ha una potestà legislativa rilevante in materia di urbanistica, ambiente, agricoltura. Ricordiamoci che da una decina di anni in modo strutturato non si vota più per quasi tutte le Regioni insieme, ma ogni anno si vota per alcune Regioni o per una solamente. Con tutto quello che ne deriva per l’espressione di un voto “politico” ma anche per l’attenzione dei media.
Una proposta? Organizzare il voto in blocchi temporali con una gestione commissariale dell’ente se c’è uno scioglimento anticipato, una sorta di elezioni di mid-term per tutte le autonomie territoriali da tenersi ogni due anni. Certo potrebbe essere percepita come una soluzione che comprime il principio democratico ma mi chiedo se questo principio non è compresso invece da maggioranze politiche costruite dal 19% degli elettori (tanto ammonta il consenso a maggioranza assoluta rispetto al 37% dei votanti ma potrebbe anche essere minore per vincere). La Repubblica dei partiti dove appunto i partiti portavano gli elettori alle urne non può non correggere qualcosa allorché da venti anni quei partiti sono scomparsi nella loro forza organizzativa.
Che non sia la proposta giusta? Può essere, allora se ne trovi una e non si faccia come sempre quando la classe politica piange lacrime di coccodrillo sulla democrazia dimezzata dall’astensione elettorale, ma non fa nulla per contrastarla. Forse, verrebbe da pensare, perché piace questo trend di disaffezione? Intanto però si eviti di tornare al voto a suffragio universale e diretto per le Province almeno che non sia utile per giustificare altre lacrime di coccodrillo quando a votare andrà ancor meno del già asciugato corpo elettorale attivo.
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