Ricordare la tragedia
Il Bataclan otto anni dopo | L’editoriale di Matteo Renzi
Ricordare la tragedia significa anche ribadire che per noi quel teatro è il simbolo di una risposta educativa e culturale, e non solo securitaria e militare. Attaccandolo, i terroristi sapevano perfettamente cosa stavano colpendo: la nostra identità
I capi di Stato e di governo dell’Unione Europea erano appena tornati da Malta, quel 13 novembre 2015.
L’obiettivo del summit de La Valletta, richiesto dall’Italia e organizzato dal primo ministro Joseph Muscat, era quello di lanciare una vera iniziativa euro africana. L’agenda di Bruxelles era riempita da tre temi fondamentali: immigrazione, immigrazione, immigrazione. C’era stata la vicenda della Grecia, certo. E non erano mancati fenomeni di terrorismo in un anno che si era aperto con la strage di Charlie Hebdo, i primi di gennaio. Ma erano giorni di speranza quei giorni di novembre.
Gli inglesi avevano appena ucciso Jihadi John, il boia feroce che aveva decapitato a favor di telecamera alcuni ostaggi catturati dall’ISIS. Londra aveva un conto aperto con lui: il perfetto inglese con il quale accompagnava le folli rivendicazioni prima di sgozzare le povere vittime era l’inglese imparato nelle scuole del Regno Unito. Quelle scuole che non gli avevano impedito di radicalizzarsi. L’uccisione di Jihadi John avvenuta anche grazie a un eccellente lavoro di cooperazione delle intelligence internazionali, compresa una significativa partecipazione italiana, sembrava la svolta. Il terrorismo islamico che aveva insanguinato le città europee aveva ricevuto un duro colpo, per alcuni un colpo letale. E invece appena qualche ora dopo un commando di ragazzi cresciuti nella periferia di Bruxelles, nella Molenbeek distante appena qualche chilometro dai palazzi delle istituzioni europee, riuscì a seminare il terrore colpendo i luoghi della quotidianità. Lo stadio, un ristorante e poi un teatro pieno di giovani che volevano solo ascoltare musica e ballare. Perché chi ama la morte, odia la vita. E dunque odia innanzitutto la musica perché la musica è vita.
Ricordare la tragedia del Bataclan, oggi, significa ricordare le persone uccise. E l’Italia pensa innanzitutto a Valeria Solesin, la giovane ricercatrice veneziana della Sorbona che quella sera fu assassinata insieme a decine di altri ragazzi.
Significa consolare un dolore che non è consolabile, risarcire una ferita che non è risarcibile. Ma ricordare il Bataclan significa anche ribadire che per noi quel teatro è il simbolo di una risposta educativa e culturale, non solo securitaria e militare. Quando – proprio parlando alla Sorbona, in omaggio a Valeria – affermammo il principio “un euro in cultura, un euro in sicurezza” raccontammo il modello di Europa per i prossimi anni. Perché chi colpì quel teatro, allora, colpì l’Europa.
Chi oggi vuole difendere l’Europa deve investire non solo sulla necessaria sicurezza ma anche sui teatri e sui musei, sulle scuole e sulle università, sui campi da calcetto e sulle periferie. I terroristi sapevano perfettamente cosa stavano attaccando colpendo il Bataclan: la nostra identità. Perché chi ama la morte odia la cultura, la musica, i luoghi della comunità. Loro sapevano cosa colpire: gli stessi luoghi che noi dobbiamo oggi difendere meglio.
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