Una orazione catilinaria additando il nemico della Repubblica e chiedendone la testa: questo è stato il discorso di Joe Biden di giovedì quando ha attaccato Trump non per le sue idee conservatrici o razziste ma per essere il nemico numero uno delle istituzioni, un uomo senza etica e corruttore delle coscienze. Mai un presidente, sia pure nel fervore dell’ultima fase della campagna elettorale, si è rivolto in termini simili al suo competitore. Biden ha cambiato le carte, ha cambiato la posta e le regole. Ha capito che nel suo partito democratico cresceva la fronda e ha capito che dentro White House si era formata una specie di guardia medica permanente con lo scopo di tenerlo sotto controllo per poi estrometterlo.

Troppe cose non vanno nel verso giusto: il presidente è ferocemente attaccato dal partito che tifa Ucraina perché ha ridotto i contributi per Zelensky, al tempo stesso è diventato indigesto non soltanto ai repubblicani ma al ceto medio defraudato di molti milioni di dollari che finiscono nell’acquisto e spedizione delle armi. Come se non bastasse, Biden ogni giorno vede crescere la pressione sui social che approfittano di ogni suo tentennamento, scivolata, lapsus, vuoto di memoria, per mostrarlo come un’anatra zoppa che prima se ne va e meglio è.

Inoltre, nessuno si sogna di vedere insediata al suo posto la vice Kamala Harris che ha fatto una figura di pochissimo conto senza riuscir mai a crescere nei sondaggi. Lui zoppo, kamala inesistente. Dall’altra parte, il villain The Donald ha innescato un cambio automatico per cui più lo attaccano, più lui guadagna nel gradimento, sicché sono pochi quelli che non lo immaginano vittorioso fra 13 mesi. Una vittoria di Trump significherebbe disimpegno immediato con l’Ucraina, concessioni larghissime alla Russia di Putin, guerra doganale con l’Europa e specialmente con la Germania che è il concorrente più duro dell’operaio americano in sciopero per la crisi del settore automobilistico.

I motivi ci sono tutti e se ne possono aggiungere altri come la necessità di porre fine al conflitto con la Cina trovando un accomodamento su Taiwan in cambio di garanzie economiche di fronte all’immane crisi dell’edilizia. Ma proprio perché tutto il vento finisce nelle vele di poppa di Donald Trump, Joe Biden si sente costretto ad usare la sua piccola atomica retorica: quella della delegittimazione del suo avversario non per quel che pensa ma per quel che rappresenta come minaccia.

Trump è come Catilina ai tempi di Cicerone: “Vuole il potere con qualsiasi mezzo e costo per saziare la sua ambizione, il suo odio, la sua sete di vendetta”. Se Trump vincesse, dice Biden, le liste di proscrizione come ai tempi di Mario e Silla verrebbero affisse sulle porte di Capitol Hill e di fatto sarebbe la guerra civile. “Trump – ha detto testualmente Biden – ha auspicato la condanna a morte del Joint Chief of Staff, il generale Mark A. Milley” e cerca di impossessarsi del potere, concentrarlo nelle sue mani tentando di abusarne sottoponendo a vere purghe le istituzioni chiave attraverso le teorie cospirative e va spargendo notizie false per dividere gli americani a suo personale profitto.

Inoltre, incita alla violenza coloro che rischiano la vita garantendo la sicurezza degli americani trasformando in arma l’anima profonda due cittadini di questo paese questa minaccia maga e l’età vale per le istituzioni e costituisce un pericolo per l’identità stessa della nostra nazione”. L’impatto che ha avuto il discorso è stato enorme perché è strato progettato e scritto dagli strateghi democratici allo scopo di rendere il loro elettorato consapevole della posta in gioco alle prossime elezioni. Per quanto Biden sia debole, i democratici ritengono di avere ancora la mano vincente e hanno completato la loro opera spingendo Joe Biden ad andare incontro ai metalmeccanici in sciopero mentre Trump giocava a golf sui suoi verdi campi.

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Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.