Per prima cosa qui vanno fatti i complimenti alla casa editrice Medhelan, che ha realizzato con grande cura questo gioiello seppellito sinora nelle cantine della letteratura francese ed europea: “I due stendardi” di Lucien Rebatet, scrittore e intellettuale ideologicamente di destra, diciamo pure appartenente a quel fascismo letterario” francese tra le due guerre mondiali. Siamo dalle parti di Céline e, forse meglio, di Drieu la Rochelle, portatore quest’ultimo di una sorta di esistenzialismo tragico figlio della grande disillusione di quell’epoca.

“I due stendardi” è un romanzo clamoroso (qui in due volumi per un totale di 1500 pagine, eccezionale traduzione di Marco Settimini che firma anche la pregevole introduzione) nel quale si racconta il peregrinare intellettuale e morale di Michel, gran personaggio simbolo della crisi di tutto un mondo che – soprattutto nella parte dedicata alla sua permanenza a Parigi – osserva la corruzione del vivere, e di se stesso. Céline, si diceva, ma anche Proust, sono i fari soprattutto dal punto di vista estetico di Lucien Rebatet: letteratura di livello, paragoni a parte. Scrive Settimini nell’introduzione: “Eroe post-balzachiano, post-stendhaliano, post-baudeleriano, dallo spirito a un tempo antico e assolutamente moderno, in cerca di un assoluto che s’incarni, Michel vive a fior di pelle nei meandri di tre tempi imbarcati: quello del passato, l’infanzia, quello di una giovinezza che si dissolve e quello in parte vivo e in parte dissolto, di due millenni e più di storia”.

Giusto, perché qui siamo dentro le viscere della lunghissima storia umana, letteraria, “morale” della Francia, evocata di continuo in un raffronto nel quale il presente esce sempre sconfitto dal passato. E ci sono l’amore e la ricerca di Dio a fare da sfondo a un futuro ignoto. Come si vede, con Rebatet, autore dimenticatissimo, siamo nel cuore della grande letteratura novecentesca e questo “I due stendardi” è una pietra di quella lunga e tortuosa strada che si chiamò Novecento.