In tempi in cui si parla molto di religione e Stati Uniti, ecco un libro di grande spessore del grande teologo americano, protestante, Reinhold Niebuhr, pubblicato da Scholé, “Realismo cristiano e potere politico” (a cura di Luca G. Castellin e Giovanni Dessì). È una raccolta di saggi tradotti per la prima volta in Italia e scritti tra il 1934 e il 1963 da questo pensatore che provò a declinare un “realismo cristiano” che andasse «oltre la tragedia e l’utopia» (Castellin), cioè le due fondamentali correnti novecentesche, sia dal punto di vista del pensiero che dell’azione storica. Quello di Niebuhr è in definitiva un sistema filosofico antiautoritario, per così dire “attivo”. Senza volerne qui forzare l’interpretazione, si potrebbe dire che siamo davanti a un’idea del cristianesimo come antidoto, anzi, come proposta alternativa alle mostruosità del XX secolo.

In questo quadro, alcuni articoli sono di grande interesse e attualità. Tra questi, “Perché la Chiesa cristiana non è pacifista”, “L’élite democratica e la politica estera e americana”, “Il dilemma nucleare”: tutti brevi saggi sulla necessità di preservare la pace mediante la concretezza dell’agire cristiano. E molto utile, dopo l’elezione dell’agostiniano Robert Francis Prevost, è il saggio sul realismo politico di Agostino, «il primo grande “realista” della storia occidentale».

Sempre Scholé pubblica un altro volumetto di Niebuhr, con Hans J. Morgenthau, che si intitola “Morte nell’era nucleare”, ed è inutile sottolineare quanto siano attuali certe riflessioni filosofiche – come quelle contenute in questo libro – scritte dopo Hiroshima e Nagasaki. «L’invenzione della bomba ci avvicina a un governo mondiale realmente efficace che metta al bando sia la guerra che la bomba, riportando l’anarchia delle relazioni internazionali sotto il dominio di un autentico diritto e di un ordine effettivo? La risposta – scriveva Niebuhr nel 1945 – non può neanche essere troppo ottimistica». Sembra scritto oggi.