Difesa, petrolio, beni rifugio e titoli di Stato. Le Borse occidentali stanno cominciando a metabolizzare il conflitto in Medio Oriente e nella giornata di ieri segnano una nuova seduta particolarmente nervosa con gli investitori che premiano i comparti più “vicini” alla guerra. Basti pensare che alla notizia dell’attacco dell’Iran nei confronti di Israele, nella serata di martedì primo ottobre, il listino ancora aperto era quello di Wall Street che ha chiuso poi in ribasso a causa delle tensioni geopolitiche. Martedì sera, l’indice Dow Jones ha chiuso con un calo dello 0,41 per cento dopo tre rialzi consecutivi. Male anche il Nasdaq 100 (meno 1,43 per cento) in scia con lo S&P 100 che, sempre martedì sera, segna meno 1,09 per cento. Il nervosismo, però, si è visto anche nella giornata di ieri 2 ottobre con i mercati borsistici altalenanti per tutta la durata della seduta delle quotazioni.

Borse europee

Tutti negativi gli indici di Piazza Affari e degli altri principali listini europei. Tra i listini europei contrazione moderata per Francoforte, che soffre un calo dello 0,3 per cento; si muove in modesto rialzo Londra, evidenziando un incremento dello 0,33 per cento, e Parigi è stabile, riportando un moderato meno 0,05 per cento. Si muove verso il basso Piazza Affari, con l’indice Ftsse Mib che lascia sul parterre lo 0,28 per cento, continuando sulla scia ribassista rappresentata da tre cali consecutivi. Sulla stessa linea, si muove al ribasso il Ftse Italia All-Share, che perde lo 0,38 percento. La quotazione Euro/Dollaro americano è in rialzo su 1,106 mentre l’oro si mantiene alti valori senza particolari scossoni.

Materie prime, valute e petrolio

Ma quali sono le principali reazioni dei mercati alla situazione geopolitica precaria? Bisogno anzitutto registrare il secondo giorno consecutivo di rialzi per il petrolio. Le tensioni del Medio Oriente, infatti, colpiscono direttamente “l’oro nero” facendo salire sensibilmente le quotazioni (in due giorni è aumentato di almeno il 2 per cento). Il Brent è oramai al di sopra dei 75 dollari al barile mentre l’indice Wti ha quasi raggiunto i 72 dollari. La quotazione sale per due motivi principali.

La prima causa è nella riduzione della produzione. Il conflitto coinvolge l’area che è la più importante fornitrice di greggio per l’Occidente. Le società petrolifere, per evitare danni, a volte sono costrette a chiudere stabilimenti e ciò comporta una riduzione dei quantitativi e un successivo aumento dei prezzi. Senza contare la possibilità di colpire proprio le raffinerie sia in maniera diretta, distruggendo le fabbriche, o indiretta bloccando le strade del rifornimento.

Quest’ultimo rappresenta proprio la seconda causa di aumento della quotazione del petrolio. Con il coinvolgimento della guerriglia degli Houthi, la rotta del Golfo Persico e del canale di Suez diventa particolarmente pericolosa. Ecco perché le navi preferiscono circumnavigare l’Africa con un conseguente aumento dei tempi di consegna e dei relativi costi di trasporto. Non solo petrolio. Da due giorni, infatti, è scattato l’acquisto dei cosiddetti “beni rifugio”, cioè quei beni che non perdono valore nonostante le tensioni e che rappresentano investimenti relativamente sicuri. Si tratta di oro, dei titoli di Stato (soprattutto statunitensi e tedeschi) e del dollaro. Il bond decennale americano è sceso dal 3,78 per cento al 3,70 per cento cosi come il Bund tedesco gira intorno al 2 per cento. Un trend non forte ma lento e costante che indica la volontà dei mercati.

Difesa

Nella giornata di ieri a Piazza Affari va segnalato l’andamento del comparto delle armi. Basti pensare che Leonardo segna un più 3,6 per cento; Fincantieri più 2,21 per cento. Sugli scudi anche le società petrolifere con Eni che chiude con un più 1,6 per cento, Saipem più 1,6 per cento. Lo Spread peggiora, toccando i più 133 punti base, con un aumento di 3 punti base rispetto al valore precedente, con il rendimento del BTP decennale pari al 3,45 per cento.

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