Enrico Musso è professore ordinario di economia dei trasporti all’università di Genova. Tra gli studiosi italiani con il più alto indice bibliometrico del suo settore. Oltre alle lezioni e all’attività di ricerca è anche Direttore del Centro Italiano di Eccellenza sulla Logistica, i Trasporti e le Infrastrutture.

La tragedia di Mestre è stata, per quanto sappiamo dagli investigatori, la concausa di un malore dell’autista e di un guardrail malandato…
«Del malore non sappiamo, del guardrail sì: c’era una parte mancante che ha fatto da perno per spingere giù il pullman. E poi scusi: i guardrail li mettono proprio per quando le cose vanno male, non servono se tutto va bene. Servono quando i conducenti sbandano, hanno un malore, hanno bevuto. Per cui alla fine innerverei le attenzioni sulla barriera che doveva proteggere e non ha affatto protetto. Lì è stato il problema».

È giusto. Ma esiste uno standard dei guardrail?
«Sì, a livello europeo ci sono standard da rispettare a seconda del tipo di strada e di circolazione servita. E nel caso di Mestre siamo lontani, a giudicare dalle immagini: era poco più di una ringhiera e per di più interrotta, evidentemente non manutenuta a dovere».

Come spesso succede. Perché?
«Ci sono norme vigenti iper restrittive, talvolta anche troppo perché impegnano a osservare un’infinità di regole. E siccome ci sono norme eccessive, c’è quasi sempre una clausola: ‘queste nuove norme valgono per quando rifarai il tratto stradale, per adesso tieni pure quel che c’è’. E questo di Mestre credo sia uno di quei casi: quando si rifarà il guardrail dovrà rispettare uno standard europeo di sicurezza, ma intanto si tenga quel che c’è, così com’è».

Eppure ci sono anche autostrade dove le barriere protettive sono perfette, sicure.
«Sì, come dicevo dipende dal momento della realizzazione. La norma crea un discrimine tra quel che c’è già e quello che viene realizzato dopo. Ciò che va fatto o rifatto, è eccellente. Quel che non viene toccato rimane com’è da trent’anni. Con l’usura del tempo che però peggiora lo stato delle cose».

Un errore evidente. Esiste un monitoraggio complessivo della manutenzione di strade, guardrail, segnaletica?
«No, non esiste uno strumento, un’agenda di manutenzione programmata a livello nazionale. Sta agli accordi con i concessionari stradali che non sono sempre rispettati e comunque si inseriscono contratti di concessione di durata lunghissima che poi vengono puntualmente prorogati, a fronte di nuove realizzazioni che si devono ammortizzare… I guai peggiori li sconta la parte manutentiva dell’esistente. Perché come insegna il Ponte Morandi, se le manutenzioni non le fai non ti controlla nessuno. Fino alla tragedia…»

A proposito del modello-Genova, qui servirebbe un modello di quel tipo per tutte le manutenzioni, con il criterio della somma urgenza.
«Il modello-Genova è una tipica storia italiana. Nel momento in cui ci si è accorti che il ponte era venuto giù per mancata manutenzione, cosa è successo? Che la rete stradale ligure si è paralizzata perché ogni singolo viadotto, galleria o ponticello è diventato oggetto di perizie e valutazioni tecniche, con conseguenti lavori straordinari fatti in fretta e furia da chi non voleva pesi sulla coscienza. La Liguria si è paralizzata perché nessuno voleva incorrere in problemi. Con il che si rafforza una riflessione: le manutenzioni vanno cadenzate, fatte in tempi certi, alternando i cantieri per non ingolfare la circolazione e ovviamente fatti con criterio, non in fretta e furia».

Sul tema delle infrastrutture, la destra parla di grandi opere e la sinistra di rammendi. Forse vanno fatte le une e gli altri. Coraggio e costanza non sono antitetici.
«Corretto. Io non sono un uomo di sinistra ma considero prioritario curare la manutenzione delle piccole cose, che è il prerequisito per poter pianificare quelle grandi. Ci vogliono migliaia di viadotti e ponticelli ben curati e anche il Ponte sullo Stretto».

C’è un problema di conflitto di interessi? Di competenze frammentate?
«Nei fatti sembrerebbe di sì, a giudicare dai risultati. Ma non dovrebbe esistere. Anche perché in teoria c’è una Autority che vigila sulla sicurezza stradale, lo sapeva?»

No, sinceramente. È operativa?
«Anche questa è una storia singolare. Non esisteva fino a quattordici anni fa: quando ci fu la tragedia del treno a Viareggio se ne accorsero e crearono una Autority della Sicurezza Ferroviaria. Poi ci fu il crollo del Ponte Morandi decisero di estendere il nome e l’acronimo: divenne Autority della Sicurezza Ferroviaria e Stradale. Aggiungono un pezzetto ogni volta che si verifica una tragedia. Adesso forse aggiungeranno “Sicurezza dei Guardrail”».

C’è un problema di consenso politico? Inaugurare un’opera rende molto di più che manutenere un guardrail?
«E certo. Non c’è partita. La manutenzione è quella cosa che se funziona bene, non si vede e non fa parlare. Una cosa che non piace a nessuno, in tempi di politica-spettacolo».

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.