Il peculato non c’era. Neanche l’ombra. Trascorsi nove anni di calvario giudiziario e di gogna mediatica da quando furono effettuati i sequestri dei documenti in Regione Liguria, ieri l’Appello lo ha assolto, insieme ad altri 18 imputati, da tutte le accuse. Il caso riguarda consiglieri regionali di tutti i gruppi, ma Edoardo Rixi, capogruppo della Lega in consiglio regionale, ne è stato il simbolo. Ed è quello che ha pagato di più, dimettendosi dall’incarico di governo nel Conte 1 – dove era Vice ministro alle Infrastrutture – a seguito della condanna in primo grado a tre anni e cinque mesi. Ieri il suo telefono non ha smesso di squillare: lo hanno chiamato Matteo Salvini e Giancarlo Giorgetti, ma non solo: «Anche dal Pd, Paita di Iv, tutti gli schieramenti oggi mi manifestano solidarietà». «Sono soddisfatto – continua – dopo tante vicissitudini amare, oggi guardo al futuro con spirito sollevato. Amo la montagna e a fine giornata è bello togliersi lo zaino, ti senti finalmente leggero. È la sensazione che provo oggi».

Da quanto portava il peso di questo zaino?
Con una operazione roboante arrivò la Guardia di Finanza negli uffici del gruppo in regione nel novembre 2012. Il rinvio a giudizio nel 2015, il primo grado nel 2019, oggi siamo a nove anni dall’inizio.

Cosa si carica sulle spalle l’amministratore pubblico?
Di responsabilità civili e penali che le leggi non riescono oggi a gestire con tempi rapidi, con regole certe. Non è possibile che un pm si sveglia al mattino e va a indagare i consiglieri regionali su prassi consolidate e su autorizzazioni che venivano date dalla Regione su ogni singola spesa.

Ci sono reati sin troppo ricorrenti per chi fa politica da eletto, dall’abuso d’ufficio al peculato.
Il tema vero è che bisogna mettere il decisore pubblico al riparo dal fatto di poter movimentare lui direttamente dei denari, e dai processi che lo indagano ogni volta che, pur autorizzato, li movimenta. È evidente che se un ente mi dice di sì per una spesa, non mi si può chiamare in causa perché si mette in discussione quell’autorizzazione. Perché questo è un modo per frenare l’azione amministrativa, intimidire la politica e ingolfare la macchina della giustizia.

Di che importi parliamo?
Per il 2011, mi venivano contestati 150 euro spesi indebitamente. E per contestarmeli la giustizia credo abbia speso mille volte tanto quella cifra, peraltro ricevendo oggi una sentenza assolutoria completa. Dunque era indebita l’indagine, non quella spesa. A me i magistrati imputavano però anche le piccole spese di ciascun consigliere del mio gruppo, come se avessi dovuto o potuto controllare ogni loro scontrino. Una assurdità.

Una inchiesta figlia di un clima politico?
C’era in quel momento una situazione di clima politico che spingeva in quella direzione. Mi auguro si torni alla razionalità, perché se non prendiamo in mano il destino del nostro Paese, l’Italia è destinata a soccombere. Le persone devono tornare ad avere fiducia nelle istituzioni e nelle leggi, e queste devono ritrovare un percorso comune, non farsi la guerra.

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.