Facciamo un po’ di chiarezza; dal punto di vista farmacologico e clinico, qual è la differenza tra la cannabis light e la cannabis tradizionale?

Cannabis è il nome scientifico di un genere di vegetali. A noi interessano due varietà: Cannabis indica e Cannabis sativa. La cannabis indica contiene una quantità variabile ma comunque importante di tetraidrocannabinolo (THC), che è una sostanza sicuramente psicoattiva. Alcune parti della Cannabis sativa contengono cannabidiolo (CBD) e minime tracce di THC, che possiamo dire trascurabili in quanto a effetti e rischi. Non mi soffermo sugli effetti del THC in generale, sui quali si potrebbe discutere a lungo. Per quanto riguarda il CBD la Comunità scientifica non è ancora giunta a definire un effetto farmacologico.

Una larga fetta della letteratura internazionale è propensa a negare l’esistenza di effetti del CBD sul sistema nervoso centrale, ritenendo che le percezioni soggettive dopo la sua assunzione derivino da un effetto placebo. L’effetto placebo consiste nell’efficacia, percepita soggettivamente e a volte anche dimostrabile, di una sostanza che sicuramente non ha una capacità oggettivamente dimostrabile di condizionare parametri clinici quando il paziente sappia che non è un medicinale.

Cannabis light e cannabis tradizionale, come dice, sono diverse; ma possiamo definire la cannabis light una droga?

Bisognerebbe prima di tutto definire cos’è una droga. Se la droga è un qualcosa che si presta ad uso voluttuario allora il CBD (chiamiamolo cannabis light per semplicità) può esserlo, anche solo per l’effetto placebo. Ma attenzione: in base a questa definizione lo sono anche i videogiochi, il fumo disigaretta ed il gioco d’azzardo ed ancor più l’alcol.

L’art. 18 del DDL Sicurezza, che vieta il commercio della c.d. cannabis light, si propone il fine di evitare che l’assunzione di prodotti costituiti da Cannabis sativa “possa favorire, attraverso alterazioni dello stato psicofisico del soggetto assuntore, comportamenti che espongano a rischio la sicurezza o l’incolumità pubblica ovvero la sicurezza stradale”; secondo lei, questo rischio esiste davvero?

Direi proprio di no. La letteratura scientifica non solo ci dice che l’efficacia del CBD è incerta e probabilmente dovuta per lo più all’effetto placebo, ma anche che non ci sono conseguenze collaterali negative. Il divieto di commercio delle parti di piante che contengono CBD mi sembra assurdo, visti gli effetti fortemente dubbi e probabilmente inesistenti del CBD come sostanza psicoattiva.

In base alla sua esperienza, quali sono gli effetti della cannabis light sull’organismo umano?

Non ho esperienza sugli effetti della cannabis light perché non ne ho mai fatto uso. Come ho detto prima, la percezione soggettiva dei consumatori può essere una riduzione dell’ansia o comunque un aumentato benessere, ma ci sono pubblicazioni autorevoli che dimostrano che le medesime percezioni vengono riferite anche da persone che hanno assunto un placebo spacciato per cannabis light.

Si tratta di una sostanza che dà dipendenza?

La dipendenza fisica, scolasticamente, comporta delle manifestazioni di astinenza caratterizzate da alterazioni di parametri clinici, ma non è il caso della cannabis, men che meno di quella sativa. Nel caso di quest’ultima possiamo parlare di una dipendenza solo psicologica, che però può esistere per tutto, per il sesso, il gioco d’azzardo, il fumo di sigaretta, l’alcol. Non voglio addentrarmi in questioni politiche, ma lo Stato ammette ciò che dà dipendenza se porta denaro con le accise.

C’è una differenza tra cannabis light e cannabis ad uso terapeutico?

La differenza esiste ed è sostanziale: la cannabis ad uso terapeutico può contenere CBD, ma contiene soprattutto THC; come si è detto, il THC ha una attività ben documentata sul sistema nervoso centrale.

Esistono dei benefici della cannabis light?

A mio parere nessun beneficio farmacologicamente dimostrabile, ma ciò non significa che le persone non possano trarne piacere. La suggestione indotta anche solo dal vocabolo cannabis può determinare nella nostra mente complicata reazioni positive, o magari anche negative; dipende molto dall’aspettativa di ciascuno. Il placebo non deve essere demonizzato: se una persona sofferente si convince dell’efficacia della cannabis light tanto da provarne piacere, perché mai vietargliela.

Le cosiddette argomentazioni slippery slope, caratterizzate dal fatto di trarre, dalla tesi iniziale, conseguenze di gravità crescente, associano all’uso di cannabis sativa una propensione all’utilizzo di sostanze stupefacenti in generale. È così?

Non è così, in linea di massima il passare dalle cd. droghe leggere a quelle pesanti, posto che non esiste più una distinzione seria, deriva dal fatto che ce la si procuri attraverso canali non regolari: è lo spacciatore, spesso, ad avere interesse a proporre di provare un altro tipo di sostanza. È tutto lì: nel caso della cannabis sativa questo meccanismo non esiste, quindi escludo che si possa generare un effetto cascata.

L’ultimo report dell’OMS nel 2018 attribuisce al consumo delle bevande alcoliche il decesso di 3 milioni di persone ogni anno a causa di oltre 200 patologie; il consumo di cannabis sativa conta gli stessi morti? Che differenza c’è tra alcol e cannabis sativa in termini di rischio per la salute?

Ho una fiducia non incondizionata nell’Organizzazione Mondiale della Sanità: le sue indicazioni sono non raramente condizionate dalla politica. In ogni caso, è un dato di fatto che le morti correlate al consumo di alcol esistano, mentre non ho notizia di morti determinate dalla cannabis sativa. Possono fare eccezione le persone morte per incidente stradale mentre andavano ad acquistare qualche preparato di cannabis light, come quelle che sono state investite da un’auto uscendo dai centri vaccinali: dobbiamo considerare queste ultime come morti da vaccino?

Maria Vittoria Ambrosone

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