“Qua c’è la mia anima, che non rivela un fondo drammatico, come qualcuno ha notato, ma che è fatta di sensibilità, misticismo e soprattutto stupore, lo stupore con cui cerco di indagare il mistero della natura e dell’eternità”. È un Carlo Verdone inedito e visibilmente emozionato, come si addice ad ogni nuovo esordio, quello che ha inaugurato la mostra “Nuvole e Colori”, che il museo Madre di Napoli esporrà fino al primo novembre. Quarantadue fotografie inedite, conservate gelosamente nell’hard disk del regista romano per anni, e ora finalmente restituite al pubblico grazie all’intuizione del critico Paolo Mereghetti e a Elisabetta Sgarbi, che porta a Napoli una vera chicca della Milanesiana, rassegna multidisciplinare arrivata al ventunesimo anno, e che per il 2020 ha scelto il tema dei colori.
I colori del cielo e le infinite nuances delle nuvole, che l’obiettivo di Verdone-fotografo fissa come in un percorso all’inseguimento del tempo, della luce e del senso della vita. “Io lavoro dalla mattina alla sera con i volti”, continua Verdone, “ed ero un po’ esausto dal non avere troppe possibilità, nel mio lavoro sul set, di un campo lungo o di uno sfondo, ambizioni un po’ soffocate dal diluvio martellante di parole di cui sono fatte le commedie”. Resta l’immagine, spariscono i volti e le parole, nei 42 suggestivi scatti, caratterizzati da un’impronta fortemente naturalistica, con pochissime intrusioni nei paesaggi urbanizzati e antropizzati.
Verdone ha raccontato con dovizia di dettagli la sua passione nascosta della fotografia, senza trascurare di svelare dettagli tecnici e aneddoti, dal rito dello scatto in rigorosa solitudine alla scelta di utilizzare quasi sempre un’ esposizione collaudata o della predilezione per determinate ottiche. Con buona pace di Aristofane, che sosteneva che le nuvole fossero “Divinità potenti a servizio di chi non vuol far niente”, non c’è traccia di pigrizia o di leggerezza negli scatti ‘un sacco belli’ di Verdone, in cui l’interesse per il trascendente e per il mistico prende piuttosto il sopravvento, fino a far dire al suo autore, con la solita autoironia, “gli autori degli scatti siamo in realtà io e il padreterno che mi concede il miracolo della luce, che non morirà mai”.
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