La polemica
Caso Castrucci: voi prendereste mai un caffé con quel nazista?
Qualcuno ha attribuito all’onorevole Claudio Borghi la colpa d’aver fatto chiacchiera con quel Castrucci, il professore nazista che insegna nell’università di Siena. L’onorevole Borghi si è giustificato spiegando che a lui capita di prendere un caffè con tante persone, e lo fa «senza sapere cosa pensano di Hitler». Ha perfettamente ragione. È possibilissimo che l’onorevole Borghi non sapesse della propaganda nazista di quel professore. Il problema è che poi l’ha saputo, ma non ha detto nulla. Non ha detto se, sapendolo, avrebbe ugualmente preso quel caffè con il nazista. Non ha detto se, ora che lo sa, prenderebbe ancora un caffè con il nazista. Non ha detto, infine, che cosa pensa di una università che consente di insegnare a uno che fa propaganda nazista. Queste omissioni, ancora, sono perfettamente lecite. Nessuno è obbligato a dimostrare avversione nei confronti di chi scrive che “Hitler ha difeso la civiltà occidentale”. È una scelta libera e legittimissima.
Ma i cittadini e gli elettori hanno il diritto di giudicare questa scelta, e di considerare nel modo che ritengono giusto il comportamento omissivo di chi, davanti a manifestazioni di propaganda nazista, appunto non dice nulla. Ho citato il caso di questo onorevole Borghi non perché sia esclusivo (purtroppo non è esclusivo) ma perché è molto significativo. La dice lunga sul carattere italiano e sul fatto che il Paese delle leggi razziali (è questo Paese, è il nostro Paese) è dopotutto cambiato molto poco. Nel Paese delle leggi razziali accade che a un politico non ripugni il fatto che a un nazista che fa propaganda nazista sia permesso di insegnare in una università. Così come quel fatto non ripugnava al rettore dell’università medesima, che ha creduto inizialmente di poter liquidare la faccenda spiegando che quel professore parlava “a titolo personale” (mancava pure che parlasse a nome dell’università). Poi, messo alle strette da cittadini un po’ irritati, il rettore è stato investito dalla fulminante necessità di far sapere che lui trova vergognosi i messaggi del professore nazista, gli stessi che fino a qualche ora prima scriminava siccome diffusi “a titolo personale”.
Il che significa che per il rettore quei messaggi sono diventati vergognosi in forza dei cittadini che li denunciavano, prima che per il suo autonomo giudizio. A meno che il giudizio del rettore fosse lo stesso anche prima, ma riteneva superfluo farlo conoscere. Ha ragione il professor Castrucci quando obietta che si ha il diritto di dire che Hitler ha salvato la civiltà europea. Ma questo diritto ha (o almeno dovrebbe avere) un contrappeso: il dovere delle scuole di assumersi la responsabilità di non mettere in cattedra chi vuol esercitare quel diritto. Vada in un parco, salga su un panchetto e dica quel che gli pare. Magari insieme al rettore dell’università, che davvero non ha posto rimedio al suo sproposito reclamando tardivamente l’espulsione del professore. Doveva chiedere scusa, piuttosto. Deve ancora. E non doveva dire che l’università di Siena “rifugge qualsiasi forma di revisionismo”, insopportabile scemenza retorica. Doveva dire che nel Paese delle leggi razziali non c’è posto d’insegnamento per chi fa propaganda nazista. È una differenza – possiamo esserne certi – apprezzabile da parte di pochissimi. Ma è decisiva. Perché è riconoscere ciò che siamo stati, e sentirne il peso, a impedirci di esserlo ancora. La negazione di quella conoscenza è l’antifascismo di maniera che non vede nulla, non capisce nulla e ha bisogno che altri spieghi che la vergogna siamo noi: non il professore nazista.
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