L’ipotesi investigativa su cui indaga la magistratura spagnola affonda in un segreto che va da Caracas a Milano. Nel 2010 un emissario del governo venezuelano, allora guidato da Chàvez, si sarebbe recato presso il consolato venezuelano di Milano – sostiene l’ex capo dei servizi segreti Hugo Carvajal, sentito a Madrid dal giudice Manuel Garcia-Castellòn – con una valigia diplomatica contenente 3.5 milioni di euro in contante. L’Italia sarebbe arrivata dopo la Spagna, dove gli uomini del presidente venezuelano avrebbero versato 7,1 milioni di euro per la formazione di un partito populista iberico, fino ad allora inesistente. Fu così data vita a Podemos, il partito poi gemellato con il Movimento Cinque Stelle e parimenti in maggioranza come spalla dei socialisti del Psoe.

Le indagini, avviate un anno fa, si sono rinfocolate in questi giorni in forza della testimonianza di chi aveva pianificato l’operazione, quel Carvajal che oggi è detenuto in Spagna e sulla cui testa pende la richiesta di estradizione negli Stati Uniti per l’accusa di prossimità con il narcotraffico. Il via libera al volo verso le corti americane, annunciato mercoledì scorso, è però stato sospeso. La fonte va tutelata da possibili incidenti. Il caso della asserita dazione nei confronti di Pablo Iglesias Turròn e del M5s d’altronde è clamoroso. Tanto che ne stanno parlando i media di mezzo mondo. In America Latina come in Europa. La notizia è stata data dalla Bbc in Gran Bretagna e con gran risalto dalla televisione spagnola, e non a caso: riguarderebbe, se confermato, uno scandalo senza precedenti, dai risvolti epocali sulla natura dei due principali movimenti populisti spagnolo e italiano: Podemos e M5s. Con una disparità di trattamento tra i due: la Rai continua a non darne conto, mentre il dibattito negli altri paesi prende piede. «D’altronde su questa vicenda – interviene il deputato di Italia Viva Michele Anzaldi – se avessimo un servizio pubblico televisivo in grado di produrre inchieste, la Rai sarebbe dovuta correre a farlo, andando a Caracas, sentendo le fonti, raccontando la storia. Invece niente, il silenzio più assoluto sulla vicenda, non una notizia letta al tg, neanche di notte».

Del tema si parla moltissimo in Venezuela. El Nacional, il più diffuso quotidiano del paese latinoamericano, se ne sta occupando ogni giorno. «Denunciamo da molto tempo la corruzione di cui è stato responsabile Chàvez prima e Maduro poi. La cassaforte del governo è l’industria petrolifera nazionale, e la triangolazione con il narcotraffico fortissima», ci dice Miguel Henrique Otero, che è il direttore del quotidiano El Nacional. «Da molti anni – ci spiega – la strategia del governo venezuelano è quella di investire sulla politica europea, mettendo denaro su partiti, associazioni, esponenti politici che possono contribuire a dare una immagine più pulita, più amichevole, più affidabile del governo del Venezuela». Otero, che è stato anche vice presidente della federazione della stampa venezuelana, ci racconta cosa si dice in patria del M5s. «Si pensava fosse una forza in grado di prendere il potere, come poi è stato. E che fosse un movimento in grado di destabilizzare l’ordine preesistente. Con loro si sono stretti legami fortissimi e la riprova sta nelle relazioni continue che hanno avuto a Caracas, a partire dalla delegazione italiana da loro costituita per i funerali di Stato di Chàvez», riassume.

Dopo la fine della libertà di stampa, Miguel Otero e i sessanta giornalisti del Nacional si sono dovuti adattare a una diaspora; lui è a Madrid, insieme alla redazione centrale, e da lì cura l’uscita di quella che rimane la prima testata di informazione indipendente del suo paese. «La corruzione dei partiti politici amici in Europa, voluta da Chàvez, va sotto il nome di Operazione speciale ed è confermata, io confermo l’esistenza dell’operazione e l’interesse del nostro governo nel pagare e comprarsi la simpatia dei partiti populisti più promettenti, anche se non ne conosciamo i dettagli. So che quando il regime cadrà, la giustizia farà chiarezza anche su questo e tireremo fuori gli importi, le date di consegna e i nomi dei beneficiari», conclude Otero. «È solo questione di tempo». Il tempo d’altronde passa e l’Italia continua a essere tra i Paesi più refrattari a riconoscere Juan Guaidò, il grande sfidante di Maduro, come presidente del Venezuela. La Farnesina – dove allignano Luigi Di Maio e Manlio Di Stefano – non ne ha voluto sapere, fino a oggi.

Marco Canestrari, co-autore insieme con Nicola Biondo di Supernova, non esclude il tentativo da parte di Chàvez di entrare con i piedi nel piatto dei Cinque Stelle. «All’inizio il Movimento attirava l’interesse di diversi paesi, con una serie di sedi diplomatiche che hanno cercato di portarsi in casa Grillo e Casaleggio; ricordo le avances di Germania e Gran Bretagna. Non mi stupirebbe se un regime come quello del Venezuela avesse provato un approccio corruttivo», ragiona Canestrari. Che mette al riparo il fondatore: «Casaleggio non era una persona interessata al denaro, tantomeno da corruttori internazionali, tendo a escluderlo. Non ho la stessa certezza su persone a lui vicine. Giovanni Favia aveva rilasciato una intervista in cui parlava di un contatto ricevuto da parte di diplomatici venezuelani che lo invitavano in Ambasciata, aveva detto tutto a Casaleggio», ricorda Canestrari che dei primi anni del Movimento è testimone oculare, avendo lavorato per la Casaleggio Associati.

D’altronde il Venezuela viene citato nel libro di Davide Casaleggio, Tu sei Rete: vi si trova un eloquente richiamo a come attraverso le reti sociali si possano cambiare i governi. Il figlio di Gianroberto è particolarmente nervoso, sulla questione. Minaccia querele a pioggia. E non solo: avrebbe scritto al Quirinale per chiedere un intervento del Presidente della Repubblica “a tutela della memoria” del padre. Dunque, ipotizziamo, chiedendogli di tenere bassa l’attenzione mediatica. Negli ambienti del Quirinale si stempera fino a smentire: quella della missiva è “una notizia data da Casaleggio, non da noi”, che in ogni caso “non potrà essere presa in considerazione”. Al riparo dalle sviste, sul Colle non sventola la bandiera venezuelana.

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.