Sembra fatto apposta. In molti, in questi giorni, l’avranno pensato. Momento critico per i 5Stelle di lotta e di governo e spunta la notizia giornalistica di una valigetta di finanziamenti illeciti dal Venezuela di Chavez e Maduro consegnata nelle mani di Gianroberto Casaleggio, quando del Movimento non c’era che un embrione organizzativo. È una bomba e potrebbe esplodere con 10 anni di ritardo per demolire la credibilità del partito che ha fatto dell’onestà e della trasparenza il proprio stemma. Sì, sembra fatto apposta. E le reazioni sono state in questa direzione, con Manlio Di Stefano che ha gridato alla più grande fake news della storia, il capo del Movimento Vito Crimi che ha detto «tutto ridicolo», e Davide Casaleggio che ha promesso querele.

Ma fra le fila di ex membri del partito si è spalancato il cassetto dei ricordi scomodi e si è alzato più di un sopracciglio. «Spero che non abbia preso soldi» ha detto Giovanni Favia, ex consigliere regionale M5S. Un tempo tra gli elementi di spicco del Movimento, Favia all’epoca del presunto finanziamento rilasciava spesso interviste a testate italiane e straniere, raccontando del nascente movimento che all’epoca – parole sue – era rivoluzionario. Proprio Favia ha raccontato di essere stato contattato nel 2010 da diplomatici venezuelani interessati a stringere contatti con il Movimento. Una richiesta di confronto che lui avrebbe poi girato al fondatore Gianroberto Casaleggio. E le due ex senatrici pentastellate Nugnes e Fattori, oggi gruppo Misto, ci hanno messo il carico. Secondo Nugnes il Movimento avrebbe ricevuto «grandi sostegni internazionali per arrivare dove è arrivato nei tempi in cui è arrivato». Più pacata la Fattori: «Mi sembra tutto molto politicizzato. Se pure il blog o Casaleggio nel 2010 ebbero finanziamenti, era un’epoca che veramente non c’entra nulla col Movimento Cinque Stelle». E su questo secondo punto viene da storcere il naso, perché qualcosa a che fare con la democrazia, la libertà, la giustizia, se non con il M5S, ce l’aveva eccome.

In questo frastuono, continua ad echeggiare il silenzio del ministro degli Esteri, nonché ex capo del Movimento, Luigi Di Maio. Un silenzio che stupisce proprio alla luce del ruolo di primo piano giocato dall’ex leader grillino sia nel partito sia, soprattutto, per il suo ruolo nella sicurezza internazionale dell’Italia. Il ministro degli Esteri e la Farnesina dovrebbero essere le prime sentinelle a guardia dell’indipendenza dell’Italia da ingerenze esterne. È lecito chiedersi, quindi, che reazioni dovrebbero avere. Certamente l’avvio di un’indagine diplomatica volta ad accertare i fatti, anche e attraverso il confronto con le autorità dello stato estero. Un confronto questo, che dovrebbe avvenire sotto l’occhio vigile degli organi parlamentari del nostro Paese. Quando, nel luglio 2019, sotto la lente d’inquisizione c’erano la Lega di Matteo Salvini e i presunti finanziamenti ricevuti dalla Russia, fu proprio Di Maio a chiedere l’istituzione di una commissione d’inchiesta che accertasse i fatti, rivendicando, tra l’altro, l’unicità della “purezza” del Movimento.

«Mai un contatto con finanziatori occulti o petrolieri o altre nazioni per giochi geopolitici sotterranei», diceva. E noi, che non siamo schiavi di un’ideologia votata al sospetto, gli abbiamo creduto. Di Maio disse che i cittadini quando votano devono sapere se la forza politica a cui stanno dando il loro consenso fa i loro interessi o quelli di qualcun altro. E allora la domanda è una: perché tacere adesso? Perché non dare con la stessa sicumera di allora una risposta a una sempre più pressante esigenza di verità? Sì, perché la questione non è, come ha sottolineato l’altra sera ai microfoni di Myrta Merlino a L’aria che tira lo stesso Di Maio – nell’unico commento che ha dedicato alla vicenda – che «se il M5S voleva soldi, non si tagliava gli stipendi».

La faccenda è un pò più complessa e ben più grave, e non è neanche se nel 2010 Maduro abbia davvero fatto recapitare una valigetta con 3,5 milioni all’indirizzo di Casaleggio. La faccenda è il sodalizio politico di un partito, che oggi è al governo, con un regime illiberale, noto per cercare di esercitare influenza e ingerenze negli affari interni dei suoi partner commerciali e strategici. E questo non in Italia, ma in tutta Europa da ormai quasi vent’anni. La questione è la puntuale incoerenza della politica estera grillina rispetto agli interessi nazionali, che ha portato il governo italiano a stringere accordi strategici affrettati come il memorandum sulla Via della Seta o a spostarsi riguardo paesi come Cina e Iran su posizioni molto più affini all’asse di Caracas che a quello filo-occidentale da sempre seguito.

La questione è la totale assenza di posizione di un Ministero degli Esteri che, con le premesse da cui partivano i grillini, sarebbe dovuto essere il nume tutelare della trasparenza internazionale mentre ogni giorno di più si svela silente di fronte alla violenza che colpisce Hong Kong, o alla richiesta di istituire una commissione d’inchiesta sulle responsabilità di diffusione del Covid19 che potrebbero coinvolgere la Cina, ma che invece non ha avuto alcuna remora ad esporsi con forza quando si trattava nel 2017 di invocare Maduro come mediatore in Libia, o di inneggiare ai gilet gialli in Francia o persino, come fatto dal senatore grillino Ferrara e dal collega Alberto Airola, chiedere l’arresto immediato in Venezuela dei deputati di opposizione Amèrico De Grazia e Mariela Magallanes non appena questi si sono rifugiati nell’ambasciata italiana a Caracas.

Tra l’altro, in un momento in cui De Grazia stava lavorando in una commissione particolarmente indigesta per il regime, perché incaricata di indagare i possibili finanziamenti del governo Maduro a partiti politici stranieri. Come detto all’inizio, sembra fatto apposta. Ma quel che è certo è che la politica estera grillina, e quindi oggi italiana, non ha nulla di trasparente e pare fatta di creta plasmabile. E la domanda è: nelle mani di chi? Lo chiederei al ministro, se solo facesse quello che ogni ministro degli Esteri dovrebbe fare nella sua posizione, ovvero venire in Parlamento: nelle mani di chi?