Ha inventato un genere, il Riformista. Giornale di idee senza partito in un mondo di partiti senza idee. Una testata colorata – con l’ormai iconico arancione – che non ha mai ceduto al colore. Una redazione piccola dedicata a fatti grandi. Con un vivaio di talenti che hanno fatto strada senza mai dimenticare quella scuola. E che oggi, nel giorno in cui il Riformista torna ad essere il Riformista, tornano su queste pagine per un giorno.

Tommaso Labate – oggi al Corriere della Sera «A Max Gallo, con cui parlavo l’altro giorno, ho detto che la notizia di Claudio Velardi direttore del Riformista mi ha provocato una strana felicità. È come se Steve Jobs avesse venduto la società e fosse ritornato in campo come proprietario di un centro Apple. Romanticismo a go-go. Facezie a parte, se sono dove sono è grazie o a causa del suo vecchio Riformista. Il problema vero è capire dove sono. Nel frattempo, in bocca al lupo».

Massimiliano Gallo – oggi Direttore de Il Napolista «Once riformista, forever riformista. Aver lavorato all’arancione è un sigillo che ti resta addosso. Qualcosa di diverso dalla classica “scuola di giornalismo”. Ci si allenava al pensiero laterale. A scorgere gli affluenti della notizia e a individuare quelli più rigogliosi o che potevano arrivare più lontano. Un antidoto alla sciatteria e alla monotonia che affligge le redazioni. Ginnastica per le sinapsi, che ha consentito agli arancioni di arrivare preparati all’età in cui sono diventati tutti secondi giornali. I primi sono Internet e i social, più della tv. Al Rifo non ci si annoiava. E in più avvertivi sulla pelle l’orgoglio dell’appartenenza. Una pochette che non ha mai fatto vivere quegli anni come se fossero un lavoro».

Marco Contini – oggi a Repubblica «Essendo nato un po’ alla chetichella, il Riformista del 2002 era una creatura abbastanza indefinibile. Soprattutto per noi che lo facevamo. Venivamo da esperienze – professionali e politiche – diverse, e ciascuno di noi si era fatto un’idea tutta sua di cosa dovesse essere questo nuovo giornale. Una versione più progressista e meno tonitruante del Foglio? Il quotidiano che avrebbe restituito diritto di cittadinanza ai socialisti, dopo Tangentopoli? Quello che avrebbe provato a tessere un dialogo tra gli orfani del Pci e quelli della Dc, ora che non c’era più il Muro? La voce di Massimo D’Alema? La sponda progressista di una nuova destra defascitizzata, ove mai fosse riuscita a emergere? Capimmo col tempo che era tutto questo, e insieme nulla di tutto questo. Anche, o forse soprattutto, per via di quell’editore – Claudio Velardi – che tesseva il suo universo di relazioni rispondendo a un solo imperativo: fare l’esatto opposto di quel che ci si sarebbe aspettati da lui. Con Claudio era impossibile non litigare. Troppo spiazzante, sempre. Poi, essendo lui persona tanto burbera quanto amabile, era impossibile non farci la pace. Ora, a più di vent’anni di distanza, torna. Non come editore, ma come direttore. Auguri! A lui, e tutti coloro che dovranno interpretarne i voleri…»

Fabrizio d’Esposito – oggi a Il Fatto Quotidiano «In quell’ottobre del 2002 “riformista” era una parola vergine e tabù, allo stesso tempo. Le riunioni – democratiche e per questo infinite, in cui parlavano tutti e si fumava ad libitum – erano scavi di ricerca per estrarre qualcosa che gli altri non avevano visto o non volevano vedere. Si cominciava col metodo anglo-maieutico del socratico Antonio Polito e si finiva col cazzeggio creativo, per dirla con il risultatista Max Allegri, ma senza indossare casacche (a parte quella dalemiana che gli altri ci infilavano a forza e talvolta ci faceva gioco). Ventidue anni dopo, quella parola vergine e tabù è diventata in molti casi slabbrata e per certi versi ancora impopolare, sovente usata come un feticcio inane da destra, centro e sinistra. Auguro quindi a Claudio Velardi di fare un giornale con l’antico shining arancione, di divertirsi e di non scambiare il garantismo per innocentismo».

Cinzia Leone – art director e graphic novelist, oggi anche scrittrice «Nell’ottobre del 2002 con Antonio Polito, Claudio Velardi, Luciano Consoli e una squadra di giovani e agguerriti giornalisti abbiamo fondato il quotidiano il Riformista. Mio era il progetto grafico, il logo della testata, l’omino con il cannocchiale e l’innovativo, energetico colore arancione. A Claudio Velardi, oggi direttore, auguro buon vento».

Alessandro De Angelis – oggi a Huffington Post e La Stampa «I primi tempi mi chiamava all’alba, Antonio Polito: “Fai una grande intervista sulla Rai, che forse ci chiudiamo”, “cosa dà Berlusconi oggi? Pensa a un titolo”, cose di questo tipo. Un’ansia terribile, per un praticante alle prime armi. Vent’anni dopo mi ritrovo a borbottare coi giovani colleghi sui giornali che si leggono presto. Oddio, sembro vecchio! Insomma, è stata davvero una grande scuola quel “cannocchiale” irriverente, curioso, appassionato, pieno di giovani talenti. Macaluso il più giovane di tutti, e quanto ci manca il suo sguardo laico sulla politica. Divertitevi come allora, e in bocca al lupo a Claudio».

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.