Fece in tempo a vedere la caduta del muro di Berlino, cioè l’implosione del cosiddetto “socialismo reale”, Augusto Del Noce, che morì a Roma nella notte fra il 29 e il 30 dicembre di trent’anni fa (era nato a Pistoia l’11 agosto 1910).  Ma per lui, che l’aveva previsto fin nei minimi particolari, non si trattava di un evento lieto, cioè dell’inizio di una nuova era felice e conciliata sotto le insegne del capitalismo globale e della liberaldemocrazia. La dissoluzione del marxismo per Del Noce non significava altro che il suo compimento, il trionfo definitivo del nichilismo e del relativismo morale che erano per lui l’essenza implicita nel razionalismo dell’età moderna. E al Moderno Del Noce ha dedicato la sua vita di studioso, con indagini tanto profonde quanto originali. A partire dal metodo, che lui stesso definì di “interpretazione transpolitica della storia”. Per capire infatti la modernità e la sua idea di politica occorre risalire alla sua filosofia, quella razionalistica appunto, e collocarla nell’evoluzione storica del pensiero umano, in particolare in quel processo di abbandono della scolastica con la sua idea di un mondo ordinato in cui l’uomo era al vertice della natura ma sottomesso alla potestà divina. Il razionalismo origina nel pensiero di Cartesio, che è come sospeso a mezz’aria fra la vecchia e la nuova epoca, tanto da venir sviluppato dai sui successori sia nella direzione del razionalismo sia anche, soprattutto in Italia, in quella, assolutamente minoritaria ma a cui Del Noce guarda con simpatia, dell’ontologismo (Vico, Rosmini, Gioberti).

Il razionalismo nasce nel momento in cui l’uomo pretende di poter fare a meno della trascendenza, quindi di Dio, facendosi esso stesso Dio. L’essenza del razionalismo è perciò l’ateismo, l’epoca della secolarizzazione e del disincanto che viviamo. Da metafisico il razionalismo si è fatto via via empiristico e scettico (Locke, Hume), positivistico e storicistico (Hegel, Marx, Comte), tragico (Nietzsche). Alla vecchia religione se ne sono sostituite altre e secolari, ove la “redenzione” viene interpretata in ottica immanente e l’umanità vista come in cammino lungo l’implacabile sentiero del Progresso. Le religioni secolari sono poi sfociate, inesorabilmente, nel totalitarismo: come Ernst Nolte e Renzo De Felice, anche Del Noce accomuna in una stessa famiglia marxismo, nazismo e fascismo. Ciò che per lui è proprio di queste tre espressioni della politica novecentesca è quella conversione di teoria e pratica, di filosofia e politica, che fu teorizzata da Karl Marx e che, coerentemente con la sua posizione negatrice della trascendenza, dichiarò morta la filosofia, cioè la metafisica, e risolse il filosofo nel rivoluzionario.

«I filosofi hanno fino ad oggi interpretato il mondo, si tratta ora di cambiarlo», recita la nota XI Tesi su Feuerbach. La rivoluzione, l’idea cioè che l’uomo possa distruggere tutto l’esistente e modellare la realtà a misura della propria ragione e del proprio arbitrio, è un’altra delle caratteristiche dell’età moderna che del Noce mette a fuoco. “Rivoluzionario” fu anche il fascismo, di cui la filosofia di Gentile, che Del Noce studiò a fondo, è la migliore esemplificazione. Il Gentile studioso di Marx apprezzato anche da Lenin, che col suo Atto puro, da una parte, riduce la filosofia a praxis secondo i dettami marxisti ma, dall’altra, mostra il fondo nichilistico della ragione così concepita; che, non poggiando su nulla se non su sé stessa, facendo a meno di ogni trascendenza, consuma continuamente il combustibile che tiene acceso il fuoco della vita, cioè le idee che avrebbero dovuto spiegare il mondo. È proprio il Logos che si autotrascende che finisce, nella sua onnipervasività, a mostrare il nulla di fondamento su cui si regge una cultura che non concepisce l’idea, che era propria della tradizione cattolica, che la ragione debba compiersi in qualche è altro e oltre rispetto ad essa.