Insieme alle tensioni tra Russia e Ucraina – con le loro potenziali conseguenze economiche – l’Ue è chiamata a gestire un’altra crisi in corso sul suo confine orientale. Protagoniste sono la Lituania, la piccola nazione baltica con meno di 3 milioni di abitanti, entrata a far parte dell’Ue e della Nato nel 2004 dopo anni di dominio sovietico, e la Cina, superpotenza forte di un’economia che in pochi anni potrebbe superare quella degli Stati Uniti. Una crisi paradigmatica perché mostra i connotati squisitamente economici delle guerre di questo decennio.

Nel corso del 2021, la Lituania ha adottato due iniziative capaci di fare molto male a Pechino. In primo luogo, si è tirata fuori dal cosiddetto gruppo “17+1”, un forum economico in cui 17 paesi dell’Europa centrale orientale si confrontano con la Cina. Una decisione che, aprendo anche la strada a un potenziale disimpegno di altri partecipanti, mina alla base i numerosi interessi commerciali della Cina nell’area e ostacola lo sviluppo della Belt and Road Iniziative (Bri). Ovvero quella Via della Seta grazie alla quale la Cina vuole portare i suoi progetti infrastrutturali nel cuore dell’Europa e stabilire una sorta di dipendenza economica. Ma l’avvenimento più rilevante è quello accaduto nel novembre scorso, quando la Lituania, primo paese in Europa, ha consentito al governo autonomo di Taiwan di aprire una propria ambasciata nella capitale Vilnius. Un caso unico, in quanto altri paesi europei (e gli stessi Stati Uniti) ospitano uffici di rappresentanza intitolati più modestamente a Taipei, la capitale dell’isola del Pacifico, proprio per non urtare la sensibilità del Dragone. Il motivo è noto: la Cina non riconosce l’autonomia dell’isola e ritiene Taiwan una sua propaggine.

La reazione di Pechino non si è fatta attendere. Il governo di Xi Jinping ha declassato le relazioni diplomatiche con Vilnius, ma, soprattutto, ha cominciato una vera e propria guerra economica contro il piccolo paese del Mar Baltico. Oggi la Cina impedisce alle merci lituane di entrare nel paese, creando di fatto una barriera commerciale. Nel 2020, il paese baltico ha esportato in Cina merci per un valore di 300 milioni di euro. Obiettivamente, si parla di numeri modesti. Il motivo per cui Vilnius è più pronta ad una reazione contro Pechino è forse questo: la Cina è un mercato di esportazione relativamente piccolo per il paese. Solo l’1,18% delle esportazioni lituane è andato in Cina nel 2019, rispetto al 13,1% alla Russia e al 3,64% agli Stati Uniti. Eppure per la Lituania proprio la Cina stava diventando uno dei mercati di esportazione in più rapida crescita.

Ma Pechino non si limita ad alzare barriere ai prodotti lituani. L’altra strategia è quella di compiere pure pressioni sistematiche sulle aziende europee – tra queste, per esempio, c’è Continental, il gigante tedesco dei ricambi per automobili – affinché smettano di utilizzare componenti di fabbricazione lituana. Non è la prima volta che ciò accade. La prassi di Pechino di colpire le industrie straniere per ‘punire’ i loro governi è frequente. Basti pensare alla sospensione delle esportazioni di terre rare in Giappone dopo uno scontro marittimo al largo delle contese isole Senkaku, al freno alle importazioni di salmone norvegese dopo l’assegnazione del Premio Nobel per la pace al dissidente Liu Xiaobo e al divieto alle importazioni australiane di vino e orzo per rappresaglia contro la richiesta di Canberra di un’indagine sulle origini del Covid-19. «Fino ad ora abbiamo permesso alla Cina di comportarsi in un modo che non aderisce ai nostri valori e alle nostre regole, solo in virtù della sua ricchezza economica», ha dichiarato nei giorni scorsi alla Cnn l’ex primo ministro lituano Andrius Kubilius. Sulla questione si è espressa nel dicembre scorso anche la Bdi, la Confindustria tedesca, accusando Pechino di un “autogol devastante”. Per le imprese tedesche, «le ultime misure che la Cina ha adottato contro la Lituania equivalgono a un boicottaggio commerciale che avrà un impatto sull’intera Ue».

Secondo la Bdi, «anche le importazioni dalla Cina, necessarie negli stabilimenti di produzione tedeschi in Lituania, sono state colpite, così come le esportazioni dalla Germania alla Cina che contengono componenti lituani». In tutto ciò, la Cina è il principale partner commerciale della Germania, con 213 miliardi di euro di merci scambiate nel 2020. Ecco perché, la Confindustria tedesca avverte che «il danno alle catene del valore al centro del mercato unico dell’Ue non deve essere tollerato», ma «rimane importante mantenere le relazioni economiche con la Cina a un livello elevato». In questo scenario, il governo di Taiwan fa la sua parte. Intanto, acquista i prodotti lituani destinati alla Cina: tra questi più di 20mila bottiglie di rum. In un post su Facebook dei primi di gennaio, il Consiglio nazionale per lo sviluppo di Taiwan, l’agenzia di pianificazione politica del parlamento, ha pubblicato un elenco di cocktail a base di rum e altre ricette e ha esortato le persone a prepararsi ad acquistare il prodotto a partire dalla fine di gennaio. Il post invitava le persone a “sostenere la Lituania”, sottolineando le relazioni amichevoli tra i due paesi che, in particolare durante la pandemia, si sono aiutati a vicenda. Inoltre, sempre all’inizio di gennaio, il ministro del Consiglio per lo sviluppo nazionale di Taiwan, Kung Ming-hsin, in una conferenza stampa online, ha annunciato l’intenzione di istituire un fondo da 200 milioni di dollari per la Lituania, destinato in primis allo sviluppo della produzione dei semiconduttori e, in seconda battuta, al sostegno di altri settori: biotecnologie, satelliti, finanza e ricerca scientifica.

Oltre che stimolare la partnership economica con Taiwan, la crisi tra Cina e Lituania pone però un grosso tema all’interno dei confini dell’Ue, mettendo alla prova le capacità dell’Unione di difendere il proprio mercato interno. Il trattamento riservato da Pechino alla Lituania rappresenta una minaccia anche per le altre nazioni europee, molte delle quali conservano legami economici profondi con la Cina. Proprio per questi motivi, giovedì scorso Bruxelles ha avviato una causa contro la Cina presso il Wto, l’Organizzazione mondiale del commercio, accusando Pechino di «pratiche commerciali discriminatorie contro la Lituania, che stanno colpendo anche altre esportazioni dal mercato unico dell’Ue». La reazione dell’Unione sarà tutta da verificare nei mesi a venire. Infatti, se, da un lato, l’iniziativa presso il Wto sembra la prima di una serie di ritorsioni contro la Cina, dall’altro, è molto forte la preoccupazione dei paesi europei di una vendetta di Pechino sotto la forma di guerre commerciali o di azzeramento degli investimenti in Europa. Alcuni paesi membri avrebbero volentieri fatto a meno di litigare con la Cina.

«Non ci è chiaro se il problema sia abbastanza grande da giustificare la proposta di attivare il Wto. Se implementato, questo strumento avrebbe probabilmente un impatto economico significativo sul commercio, sulle imprese e sulle relazioni tra la Ue e altri paesi», aveva scritto il governo svedese in una lettera alla commissione del dicembre scorso. «Non credo che i paesi più grandi dell’Ue si sarebbero presi la responsabilità di reagire se non ci fosse stata l’iniziativa della Lituania», ammette Kubilius. Che però si mostra ottimista: «Forse la nostra reazione si estenderà anche ad altri paesi e col tempo l’Europa potrebbe ritrovarsi unita contro un paese che non soddisfa i nostri standard». Per la Lituania, la frizione con la Cina è l’occasione per inviare un messaggio anche a Mosca. Il piccolo paese baltico «è stato costantemente sotto pressione russa da quando è entrata a far parte della Nato. Così, vuole dare l’esempio agli altri stati membri europei affinché nessuno soccomba ai capricci autocratici di Pechino e Mosca», spiega Velina Tchakarova, capo dell’Istituto austriaco per la politica europea e di sicurezza.

Bruxelles ha recentemente proposto un meccanismo giuridico per rispondere alle intimidazioni economiche in “modo strutturato e uniforme” che potrebbe includere tasse doganali, limiti alle importazioni e all’accesso al mercato interno europeo. Ma la dinamica è tutta da verificare: fino ad oggi la relazione economica con la Cina è stata un elemento chiave della spinta dell’UE verso quell’”autonomia strategica”, che renderebbe Bruxelles più indipendente dall’influenza economica statunitense. Ma – come dimostra il caso Lituania – il prezzo di questa indipendenza potrebbe rivelarsi troppo alto.

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