Che il cinema sia una risorsa nazionale ben lo sapeva Benito Mussolini, per il quale era addirittura l’arma più forte e di conseguenza costruì il sistema cinematografico più completo e moderno del mondo. E ben lo sapeva Giulio Andreotti, che introdusse la tassa sul doppiaggio per ricavare dai film stranieri risorse per il cinema italiano. E ben lo hanno saputo, nel corso del tempo, i diversi partiti che avevano Commissioni Cinema e consideravano il sistema cinema non soltanto uno strumento necessario per la riproduzione della società italiana ma anche – e forse soprattutto – una risorsa collettiva da difendere contro le inevitabili aggressioni.

La legge sul tax credit

Certamente molti errori vennero anche commessi, ma l’idea di fondo rimase rispettata e inalterata. Poi arrivò la legge sul tax credit nella disgraziatissima formulazione che ne diede il predecessore dell’attuale ministro Gennaro Sangiuliano. La giusta idea che la produzione e la circolazione di cinema potessero essere sostenute anche da un sistema di sgravi fiscali venne posta in essere attraverso meccanismi automatici privi di qualunque protezione antispeculazione. Nel giro di un breve periodo di tempo il tax credit venne applicato alla produzione televisiva (evidentemente già pagata dal medium ispiratore) e alla produzione esecutiva di prodotto straniero.

La storia

Una risorsa apparentemente senza limiti si apriva agli occhi del capitale finanziario impegnato, in questa fase di mondializzazione del mercato, a penetrare con forza nel campo della produzione audiovisiva. Il più grande deposito di arte, cultura e storia si offriva all’investimento e al dominio garantendo addirittura un ricco bonus finanziario a chi avesse voluto conquistarlo. Molte società di produzione italiane vennero acquisite, lasciando però ai loro creatori un ruolo economico e di prestigio.

Il profitto maggiore

Nacquero “miracolosamente” società che offrivano la produzione esecutiva garantendo un profitto assai maggiore di quello offerto dal mercato italiano, valutabile intorno all’8–10% nei casi di miglior successo. Non è necessario aver letto Karl Marx per immaginare le conseguenze di tutto questo. I budget di produzione presentati a consuntivo si innalzarono vertiginosamente. B-movie americani che in Italia non sarebbero nemmeno usciti ottennero una ventina di milioni di tax credit. La cifra totale cui lo Stato italiano rinunciava a favore di finanziarie straniere tese a raddoppiarsi. Una minima parte di tale investimento andò a favorire davvero la produzione autonoma che ne avrebbe avuto più bisogno.

Il sud ridotto al Far West

Ma, non sembri strano, non furono (e non sono) queste le conseguenze strutturalmente peggiori. Su questo fronte l’Italia ha consegnato anche i suoi contenuti, sia artistici che storici. Chissà cosa avrebbe detto Tomasi di Lampedusa guardando il suo Sud ridotto al Far West (e nemmeno quello di Sergio Leone). Pastorizzazione e, talvolta, falsificazione paiono alla logica della finanziarizzazione gli strumenti fondamentali per creare e diffondere prodotti che non vengano limitati alla (o dalla) appartenenza iniziale. Ciò non è un problema (pur con tutto il rispetto) per la Corea del Sud, ma è forse un poco più grave per l’Italia. Vorrei che su quanto accaduto si aprisse una vera e approfondita discussione. A me (socialista da sempre e per sempre, come amo definirmi) rimane l’incapacità di capire perché il primo governo di centrodestra non abbia fatto della battaglia per la difesa nazionale in questo campo un suo fondamentale impegno. Ma, insomma, forse anche questo un giorno si capirà.

Giuseppe Attene

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