La cultura non abita negli uffici della Commissione europea. La “colpa” è del pur meritorio e fondante “principio di sussidiarietà”, che impone di collocare ogni competenza nella istituzione più adeguata, e comunque più vicino possibile ai cittadini. Per fare un esempio: è il principio per cui oggi si capisce che la Difesa sarebbe da trasferire dai governi nazionali all’Europa, mentre le scuole materne dovrebbero essere gestite dai Comuni (ma in Italia sono di competenza statale). Il fatto è che i trattati istitutivi stabilirono che la cultura fosse materia degli stati nazionali.

Tra cultura e nazione

Dunque la Commissione si è occupata ben poco di cultura, giusto qualche programma minore per non essere biasimati o qualche spazio in progetti ricchi (come quelli del digitale) che, avendo bisogno di contenuti cui applicarsi, hanno fatto entrare dalla finestra gli esclusi dal portone. Credo che a quel tempo sia stato giusto identificare cultura e nazione. Si trattava di garantire, entro un processo di unificazione continentale, pari dignità delle lingue e delle culture nazionali, di scongiurare il rischio di omologazione già presente per l’affermarsi dell’inglese come lingua franca e dell’industria culturale Usa nella sua potenza. Di più: si voleva costruire uno spazio culturale europeo comune, sulla base delle nazioni, plurale, ma con una forte propensione all’integrazione.

La stagione finita e le nuove politiche

Oggi però quella stagione è finita. Non solo perché si è affermato con successo, anche grazie alle politiche universitarie e a Erasmus, un’abitudine a pensarsi europei come sintesi e non in alternativa alla propria appartenenza linguistica. Ma anche perché si è ormai aperta la nuova stagione della competizione e della cooperazione culturale, che oggi avviene fra continenti. E questo confronto intercontinentale, globale, non è solo “spirituale”, ma è anche e soprattutto economico: è una gara fra industrie con un peso continentale, come si vede chiaramente, nel cinema, nella tv, nelle piattaforme, ma anche nel design, nella letteratura, in tutte le discipline artistiche. A questo confronto globale le singole nazioni europee non possono partecipare da sole, non ne hanno la taglia, neanche lontanamente. Ecco perché le politiche culturali dovrebbero essere inserite fra le competenze dell’Unione, in occasione di una prossima revisione dei Trattati.

Mauro Felicori

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