Il dibattito
Cofferati dovrebbe rimpiangere Tony Blair
Sergio Cofferati è un amico. Ho lavorato con lui nella federazione dei chimici (lo avevo soprannominato “luce e guida” per il prestigio che riscuoteva nella categoria) e nella segreteria della Cgil. Il suo cursus honorum è di grande prestigio: è stato sindaco della mia città (io però sostenevo Giorgio Guazzaloca) e parlamentare europeo per due legislature. Al tempo dei Girotondini sembrò che gli fossero affidate le sorti della sinistra su impulso di Nanni Moretti, ma lui si accontentò da vero militante di riconquistare la fortezza delle Due Torri espugnata da un ex macellaio. Non ho mai capito perché rifiutò di candidarsi per un secondo mandato, adducendo motivi famigliari, quando alcuni mesi dopo accettò di essere eletto nel Parlamento di Strasburgo. Ma questi sono fatti suoi. Da anni ci siamo persi di vista, anche se capita di incontrarci in qualche talk show televisivo perché – da vecchie ballerine di prima fila – non ce la sentiamo di rifiutare un invito a esibirci sul palcoscenico della vanità. Ai miei tempi Sergio era un migliorista nel Pci ed un sindacalista riformista.
Divenuto leader della Cgil divenne un po’ più radicale e si guadagnò, nel suo mondo, il merito di riscattare nel 1994 l’onore della sinistra sconfitta da Silvio Berlusconi e di ingaggiare, nei primi anni 2000, un durissimo confronto con il secondo governo del Cavaliere sulla questione dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Nei giorni scorsi ho letto la sua intervista a Il Riformista (curata da Umberto de Giovannangeli). Ammetto che sono rimasto basito quando sono arrivato al brano dove Sergio esprime, a mio avviso, giudizi sconcertanti su Tony Blair. «La rovina della sinistra in Europa – dichiara – è Tony Blair. Noi abbiamo guardato con un interesse che non meritava, non facendo al suo progetto nessuna delle critiche che andavano fatte in Europa». «Perché l’idea della Terza via – continua – trasportata in un Paese che aveva la storia e le caratteristiche del nostro, è diventata immediatamente cancellazione progressiva di alcuni dei valori storici, un radicale cambiamento dell’idea di lavoro, dei contenuti del lavoro, della rappresentanza del lavoro. E c’è un radicale cambiamento anche dei rapporti nella società tra persone soggettive».
Quella di Cofferati è un’opinione rispettabile (parafrasando Marc’Antonio potremmo aggiungere: “Ma Sergio è un uomo d’onore”), non spiega tuttavia come sia stato possibile che Blair sia l’ultimo leader socialista a vincere in Europa e a governare nel Regno Unito per ben dieci anni (dimettendosi senza essere sconfitto alle elezioni). Certo la Gran Bretagna – ha ragione Cofferati – non era l’Italia. Era messa molto peggio. Il Labour era in mano a sindacati corporativi che non avevano nulla da spartire con la cultura della Cgil. I suoi governi avevano ridotto il Paese a essere, sul piano economico, una sorta di DDR dell’Occidente. Si diceva allora che i laburisti governavano mentre i tories “conservavano” le conquiste degli avversari. Il Regno Unito, prima dell’era di Margaret Thatcher era la più importante economia del socialismo reale al di quà del Muro di Berlino. Il passivo delle aziende nazionalizzate era più consistente di quello delle nostre imprese a partecipazione statale. La prima impresa che la premier tory volle privatizzare era una società nazionalizzata che vendeva le cucine economiche. Erano arrivati a considerare strategico anche questo tipo di produzione. Il cinema ci ha rifilato le lotte dei minatori. Era tutto un grande Sulcis. Le miniere erano nazionalizzate ed improduttive.
La rivoluzione thatcheriana ha avuto dei costi sociali che, però, erano inevitabili, perché quel sistema industriale era giunto al capolinea. Nel 1979 alle voci sanità, pensioni ed educazione andava meno della metà delle uscite totali; la Thatcher elevò tale quota al 61%. L’aliquota massima sulle persone fisiche, che raggiungeva l’83%, anni dopo si era dimezzata al 40, quella minima era passata dal 33 al 23 %. L’aliquota complessiva sui redditi delle società di capitali (dal 1980 al 1996) era scesa, nel Regno Unito, dal 52 al 33%, mentre in Italia era salita dal 36 al 53%, Queste misure hanno prodotto i loro effetti nel tempo. Delle idee della signora Thatcher pochissimi osano parlare bene, moltissimi però le hanno adottate. Vuol dire che il tempo è stato galantuomo con la Lady di ferro, per anni dipinta, a sinistra, come l’esempio vivente della reazione (instancabilmente) in agguato. Il fatto è che non fu solo Tony Blair, il suo vero erede, a fare tesoro dei cambiamenti introdotti da tre lustri di politica tory. A pensarci bene, la lezione di Margaret Thatcher venne studiata con cura da tutte quelle forze neo-socialiste che, in Europa, in quegli anni si proponevano (oggi tutti riconoscono, per esempio, la validità della “cura” di Gerard Scrhoeder al “grande malato” tedesco) un rinnovamento di programmi, alleanze politiche e rappresentanza sociale.
Allora il socialismo democratico era un punto di riferimento (Mitterrand in Francia, Gonzales in Spagna). Persino il superavversario di Cofferati (“folgorante in soglio”) Massimo D’Alema, tentò di incamminarsi per quella via. Ricordo che un’intervista televisiva quando era presidente del Consiglio, il lider maximo lasciò intendere che la principale differenza tra la Quercia e il New Labour stava tutta nei punti di partenza: Blair ha trovato già fatto quel lavoro di risanamento e di modernizzazione che D’Alema doveva, invece, portare a termine da solo e con grande fatica. Nessun avversario è tanto irriducibile come la Vecchia sinistra. Nel Regno Unito, Jeremy Corbyn ha riportato il Labour ai livelli degli anni 30 del XX Secolo. Poi, chi autorizza Cofferati a contrapporre Jacques Delors a Blair? «Basta pensare ad una cosa: io credo – prosegue Sergio – che il progetto economico, sociale più vicino a quei valori dei quali provavo a parlare all’inizio, sia stato quello del Libro bianco di Jacques Delors.
Delors era molto più di sinistra, se possiamo usare questa espressione, nonostante la sua provenienza cattolica, di quanto non lo fosse Tony Blair (eppure il governo Blair aveva introdotto le leggi sui salari minimi, sui diritti umani e sulla libertà di informazione, ndr). Ma noi – lamenta l’intervistato – non abbiamo guardato a Delors e all’ispirazione che stava nel suo progetto». Delors è stato sicuramente una grande personalità, ma era più facile essere innovatore da Bruxelles che alla guida di un Paese importante e con la storia del Regno Unito.
Di certo, in tempi funesti di Brexit, Tony Blair (in questo non seguì Margaret Thatcher) fu un sincero europeista, fautore e promotore dell’allargamento a Est. «Per chiunque creda nell’allargamento, è importante raggiungere un accordo sul nuovo bilancio a dicembre.
La Gran Bretagna crede nell’allargamento; noi siamo favorevoli all’allargamento; noi crediamo che l’introduzione di questi nuovi paesi abbia già fatto la differenza sulla via del progresso per l’Unione Europea». Queste sono parole pronunciate da Tony Blair, durante la sua visita in Ungheria, in qualità di presidente di turno dell’Unione. «Il mancato raggiungimento di un accordo durante la presidenza britannica sarebbe – aggiunse Blair – un vero tradimento nei confronti degli interessi dei paesi come Ungheria. E non solo nei confronti loro, ma anche nei confronti del mio stesso Paese, perchè andrebbe contro la costruzione di una moderna e forte economia europea. Perchè la crescita di questi paesi darà lavoro e prosperità anche agli altri paesi, come la Gran Bretagna». Caro Sergio, averne di leader come Tony Blair!
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